Sia la Ctp sia la Ctr avevano accolto le ragioni del contribuente. In particolare, il giudice di appello, pur non escludendo che un’operazione di transfer pricing domestico fra società operanti in Italia possa dar luogo a un’elusione fiscale, aveva ritenuto che l’ufficio non avesse fornito alcuna idonea prova.
Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è stato accolto dai giudici di legittimità.
Secondo il relatore, in analogia a quanto già affermato dalla Suprema Corte (sentenza n. 17955/2013) per la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, va applicato il principio avente valore generale (ex articolo 9 del Tuir) che impone quale criterio valutativo il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente. Ciò in applicazione del divieto di abuso del diritto che preclude al contribuente stesso il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere agevolazioni o risparmi di imposta in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Il Collegio, preso atto di tale relazione, ha ritenuto che tale tesi non fosse esclusa dalla sentenza della Ctr. In realtà il giudice di appello si era limitato a rilevare che l’amministrazione non avesse fornito idonea prova in merito all’operazione.
Tuttavia, secondo il collegio, l’ufficio, contrariamente a quanto affermato dalla decisione di merito, aveva individuato i profili di tale operazione che non erano stati adeguatamente valutati dalla Ctr, quali il notevole divario rispetto alle indicazioni Omi e una sospetta operazione societaria posta in essere a pochi mesi dalla conclusione del contratto. Da qui l’accoglimento del ricorso dell’ufficio.
Va rilevato che sul tema del transfer pricing interno non sono mancate pronunce di legittimità anche di segno opposto. Ad esempio, con la sentenza n. 23551/2012 la stessa sezione della Suprema Corte ha precisato che non si applica il valore normale per le transazioni infragruppo se le società hanno sede in Italia. La presunzione, infatti, riguarda soltanto i rapporti internazionali tra imprese del medesimo gruppo. Giungendo a differente interpretazione, occorre chiedersi quale senso abbia la norma del Tuir che impone la valutazione delle transazioni infragruppo al valore normale solo in ambito internazionale.