20.09.2017

Spaccatura May-Johnson su Brexit

  • Il Sole 24 Ore

Brexit continua a dividere il governo britannico. Il ministro degli Esteri Boris Johnson, sostenitore della prima ora dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, avrebbe minacciato le dimissioni, secondo un’indiscrezione pubblicata ieri dal Daily Telegraph, il quotidiano di cui è collaboratore.
Il ministro, che è a New York per l’assemblea dell’Onu – dove è stato raggiunto dalla premier Theresa May – ha smentito la voce, che è però apparsa molto verosimile. Johnson è decisamente contrario a quella che, molto probabilmente, sarà la prossima svolta del Governo May: la proposta, per i futuri rapporti con Bruxelles, di adottare il modello elvetico. La Svizzera non fa parte della Ue, ma è membro dell’Efta, insieme alla Norvegia, l’Islanda, e il Liechtenstein, senza però aderire all’Area Economica Europea. Ha quindi accesso al mercato unico attraverso accordi bilaterali che garantiscono la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali e prevedono una clausola ghigliottina: se cade uno di questi pilastri cadono tutti. Berna, inoltre, versa 1,3 miliardi di franchi l’anno al bilancio comunitario: con i contributi svizzeri è stata per esempio finanziata, all’85%, la costruzione della nuova stazione ferroviaria di Legionowo, in Polonia.
È proprio questo aspetto, quello dei versamenti a Bruxelles, che Boris Johnson contesta, vedendovi probabilmente un buon argomento attorno al quale raccogliere consensi. In un articolo pubblicato proprio sul Daily Telegraph, venerdì, ha ripescato la vecchia idea, lanciata durante la campagna elettorale per il Brexit, di destinare al sistema sanitario nazionale, il Nhs, i 350 milioni di sterline (quasi 400 milioni di euro) versati ogni settimana al bilancio comunitario.
La pubblicazione dell’articolo è stata un’iniziativa di Johnson non concordata con i colleghi del governo e la premier May, che sembrano orientati a mantenere l’accesso al mercato comune anche a costo di versare un contributo, ha suonato come un ultimatum alle orecchie dei colleghi più “moderati” dell’esecutivo e del partito e ha creato un conflitto di leadership: chi guida, e come, le trattative su Brexit? L’incarico di Johnson, ministro degli Esteri, fa sì che il confronto, se non rientrerà, si possa risolvere o con le dimissioni dell’ex sindaco di Londra o con la caduta del Governo.
Tutto si deciderà nei prossimi giorni. May farà un importante discorso, sui prossimi rapporti con l’Unione europea, venerdì, e ha scelto di pronunciarlo a Firenze, centro culturale e, in passato, finanziario dell’Europa continentale, molto caro al mondo inglese ma allo stesso tempo non protagonista della politica della Ue. La sceltà del luogo rende improbabile che Theresa May possa pronunciare parole di rottura traumatica nei confronti di Bruxelles. Il giorno prima è convocato un consiglio dei ministri nel quale, verosimilmente, si farà il punto della strategia negoziale.
Firenze, quindi, dovrebbe disegnare una svolta nelle strategie negoziali della Gran Bretagna, che ora sembra voler limitare i danni rispetto alle ipotesi più radicali che sono state percorse in passato. Le indiscrezioni del Telegraph parlano, forse non a caso, di dimissioni minacciate entro la fine della settimana.
Johnson corre del resto il rischio – in parte già materializzato – di diventare sempre più marginale nelle trattative e nel dossier più rilevante della politica estera britannica, e ha preferito cogliere un’occasione per riprendere quel percorso politico, molto populista, che lo aveva reso protagonista prima del referendum. Il ministro così non solo ha preso le distanze da ogni ipotesi di contributi, anche temporanei, a Bruxelles, ma anche dall’idea della May di mantener fermi i diritti dei lavoratori, e dalle intenzioni di Michael Gove di non abbassare gli standard ambientali. Non è poi mancata la proposta di maggiori investimenti pubblici e di imposte tasse agli stranieri che acquistino casa nel Regno Unito.
L’articolo ha creato qualche inquietudine nel governo di Theresa May che è intervenuta per circoscrivere l’iniziativa di Johnson: «Boris è Boris», ha sospirato rassegnata lunedì, per poi aggiungere ieri che «Boris sta facendo un buon lavoro» agli Esteri; ma il segretario agli Interni Amber Rudd ha detto che l’ex sindaco si muove come «un autista seduto sul sedile posteriore», quello che dà consigli non richiesti a chi guida.

Riccardo Sorrentino