Complessivamente l’istituto centrale cinese ha partecipazioni nelle principali società di Piazza Affari: l’elenco completo comprende anche Eni, Enel, Terna, Saipem, Prysmian, Telecom Italia, Fca, Generali e Mediobanca, tutte attorno al 2% (tranne Piazzetta Cuccia, in cui i cinesi si sono fermati all’1,98%). Non si tratta solo di una caccia al dividendo, che pure le partecipazioni garantiscono. In particolare per Mps l’appeal sembra essere più speculativo-strategico, visto che la banca senese non è previsto possa dare dividendi nell’immediato: ma la partecipazione al risiko bancario e la prospettiva di un’integrazione con un altro gruppo, magari straniero, possono essere di interesse per i cinesi. Non vanno dimenticate, infine, altre operazioni targate Cina, a cominciare dalla recente maxi-acquisizione da due miliardi di euro messa a segno da State grid corporation of China (Sgid), il colosso statale delle utility, del 35% di Cdp reti, a cui fanno capo proprio le due reti per la distribuzione di energia e gas, Terna e Snam, fino all’ingresso della Shangai Electric nel capitale di Ansaldo Energia col 35%. E sempre in Borsa — seppure destinato al suo possibile delisting — è l’investimento di ChemChina, che prenderà il controllo di Pirelli.
La strategia di puntare sui gioielli industriali e finanziari dell’Italia — forti di know how e di esperienze — da parte dei cinesi appare ormai consolidata da circa due anni, dopo la prima mossa in Eni nel 2011. In questo schema rientra anche lo sbarco a Milano, pochi giorni fa, della China Construction Bank: l’obiettivo dichiarato di Pechino è prendere parte alla ripresa che è in atto nel Paese.