22.10.2021

Smart working, ondata in calo: 800mila rientrati in azienda

  • Il Sole 24 Ore

«Sono quasi 700mila i lavoratori del pubblico impiego e tra i 700 e gli 800mila quelli del privato che da marzo ad oggi sono rientrati in totale presenza. In questo secondo caso c’è una concentrazione forte nella piccola e nella media impresa. Oggi abbiamo circa 4 milioni di smart worker nel privato che, soprattutto nelle grandi aziende, gradualmente, stanno rientrando parzialmente in sede». Sono le prime stime del nuovo rapporto sullo smart working (sarà presentato il 3 novembre) che il professor Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, ci anticipa. Quello che sta accadendo nella grande impresa, sia nei servizi che nel manifatturiero, testimonia la volontà di consolidare la modalità di lavoro ibrida, con un sempre maggiore equilibrio, a mano a mano che la pandemia allenta la morsa. Pur essendoci ancora lo smart working emergenziale fino alla fine dell’anno, chi ha accordi e prassi consolidate, le sta ritirando fuori dal cassetto, in modo da allenare le persone a tornare a lavorare anche in sede.

Credito e servizi

Le novità portate dalla diffusione dello smart working sono diverse. Nel credito, per esempio, oggi è possibile anche per chi lavora in filiale. Intesa Sanpaolo, che supera i 90mila addetti in Italia, ha dato la possibilità a chi lavora allo sportello di fare smart working, compatibilmente con l’esigenza di garantire il servizio alla clientela. Per chi lavora nelle sedi, invece, negli ultimi mesi è stato previsto un rientro minimo al 20% che sarà aumentato al 40% a partire da novembre. In UniCredit, dal primo novembre 2021, a tutti i lavoratori delle strutture centrali sarà richiesto di tornare in ufficio per almeno due giorni a settimana. Le filiali invece sono già da tempo pienamente operative. Andando a vedere cosa accade nel maggiore datore di lavoro del paese, Poste Italiane, si scopre che dal 4 ottobre tutti i lavoratori, precedentemente in smart working, sono rientrati, con esclusione del personale fragile. La massima capienza giornaliera delle sedi è al 50%. Per i dipendenti impiegati in attività di front office o recapito, non impiegabili in smart working, il lavoro prosegue in prima linea, come durante tutto il lock down.

Le punte estreme

Come spiega Corso, si sta riequilibrando presenza e remoto «con formule diverse, da un giorno alla settimana a una settimana al mese, a un paio di giorni a settimana». Con punte estreme che non riguardano solo le piccole e medie imprese che hanno preferito far tornare tutti in presenza, ma anche alcune grandi realtà. Come il gruppo Unipol che ha chiesto agli oltre 10mila lavoratori di tornare in presenza al 100% dal 4 novembre, con particolari tutele per diverse categorie di dipendenti. La compagnia è un unicum nel settore, dal momento che non ha mai siglato un accordo di smart working con i sindacati e non ha praticato questa modalità di lavoro prima della pandemia. Dopo essere passata da 0 smart working al 100% a marzo del 2020 con incredibile agilità, data la sua storia, adesso ripassa da 100 a 0. Con i sindacati che, però, considerano la scelta «un grave errore», perché «prima del rientro andava fatto un accordo sullo smart working e andavano definite le condizioni per tutelare salute e sicurezza». Per il 4 novembre hanno indetto uno sciopero, non unitario. Chi ha fatto un accordo sindacale a cui si guarda come a un modello non solo nel settore assicurativo, è invece Generali che rappresenta una delle punte più avanzate per la gestione della flessibilità e del lavoro per obiettivi. Nella compagnia del leone i primi rientri, in maniera volontaria, proseguiranno con molta gradualità, come peraltro aveva già annunciato nelle scorse settimane Gianluca Perin, chief hr and organization officer di Generali Italia. In attesa della fine della fase emergenziale e della possibilità di applicare il nuovo accordo.

Piccole e grandi imprese

Nel percorso di rientro «emergono tuttavia alcune difficoltà. Andando a sondare i lavoratori, una percentuale non piccola, dell’ordine di uno su quattro, vorrebbe in realtà continuare a lavorare interamente da remoto», dice Corso. Nei fatti, però, ci si sta progressivamente allontanando dagli oltre 6 milioni e mezzo di lavoratori da remoto, tra pubblico e privato, del picco della pandemia, poi scesi a 5,3 milioni la scorsa primavera. «La forte riduzione dei numeri ha riguardato innanzitutto la Pa (si veda altro articolo a pagina 3), per effetto del decreto riaperture e per il ritorno in presenza della scuola, ma anche il privato dove una piccola e media impresa su tre ha scelto o sta scegliendo il ritorno in presenza – spiega Corso -. Le grandi aziende, invece, stanno preparando un rientro in cui lo smart working sarà consolidato, ma riequilibrando il numero dei giorni. Se nella fase pandemica si è lavorato spesso 5 giorni su 5 da remoto, oggi, nel privato si sta rientrando con una media tra i 2 e i 3 giorni a settimana di lavoro da remoto». Tim, per esempio, da ottobre ha riaperto gradualmente le sedi, «consentendo il rientro dei colleghi su base volontaria, un giorno a settimana o una settimana al mese, a seconda del ruolo ricoperto – spiega l’azienda -. Se verrà confermata la fine dello stato d’emergenza, sulla base dell’accordo sindacale del 2020, è previsto il rientro in ufficio di tutti i colleghi attraverso il consolidamento del lavoro agile, vale a dire 3 giorni alla settimana in ufficio e 2 a casa o 2 settimane al mese. Inoltre, è prevista anche la riorganizzazione degli ambienti di lavoro con l’adozione del modello desk-sharing». Snam, invece, ha scelto di far rientrare progressivamente in presenza i lavoratori in tutte le sedi almeno 2 giorni alla settimana. Nell’ambito del proprio protocollo sanitario, la società ha stabilito un limite di occupazione del 50%, gestito con un sistema di prenotazione online. L’obiettivo è arrivare a una nuova modalità di lavoro ibrida, così come definito nel recente accordo sindacale.

Verso nuovi equilibri

Anche riprendendo gli accordi fatti col sindacato, a poco a poco, si sta immaginando come riportare le persone in sede. Giustamente perché «lo smart working è fatto di bilanciamento tra presenza e remoto e ciò che era intelligente nel lockdown non lo è adesso che la situazione è cambiata e non lo sarà in futuro quando la situazione sarà ancora diversa – continua Corso -. Le aziende illuminate stanno però cercando di preparare il ritorno, creando le condizioni perché il contesto di lavoro sia efficace e giustifichi la presenza». Così Luxottica ha raccomandato il rientro in ufficio per circa il 50% del tempo mensile, ma, dicono dall’azienda, «saranno i vari team a organizzare le proprie giornate con l’obiettivo di individuare sia quelle attività che richiedono il lavoro in presenza, sia quelle che possono essere svolte da remoto, pianificandole in modo flessibile. Il fine è riprendere la dimensione sociale che è mancata durante la pandemia e che contraddistingue un’azienda basata su valori come la cultura imprenditoriale e lo spirito di appartenenza a una comunità».

Le variabili del rientro

Nel determinare i rientri sono diverse le variabili prese in considerazione. Barilla spiega che la percentuale in presenza varia dal 20 al 50% in funzione del trend e dei dati dell’epidemia nel contesto esterno che la società monitora costantemente. Salute e sicurezza sono la priorità e negli uffici, dove c’è una soglia di capienza massima, si accede tramite prenotazione via app del posto. Pirelli, alla luce della migliorata situazione sanitaria e dell’introduzione del green pass sta favorendo il graduale ritorno in ufficio nell’headquarter con una presenza media che è intorno al 60%, nel rispetto delle regole e dei comportamenti utili a tutelare la salute dei lavoratori. In Electrolux, premesso che l’azienda considera lo smart working ancora una delle misure di sicurezza per contrastare la pandemia negli uffici, sono state elaborate 4 fasce di rischio e relative capienze. In questo momento tutti i siti italiani sono in fascia 3, con capienza delle sedi del 60%.