Esclusa l’azione di responsabilità per il fallimento nei confronti del sindaco della cooperativa che non ha mai rivestito la carica per effetto della decadenza automatica, prevista per chi ha avuto un rapporto di lavoro con la società. Un'”incompatibilità” che opera già dal momento dell’insediamento a prescindere dal fatto che si sia stata rilevata o meno, rendendo nullo l’operato di un sindaco, che non poteva essere eletto. Con la sentenza 22575 depositata ieri la Cassazione chiude le porta alla richiesta del curatore di affermare la responsabilità anche del ricorrente componente del collegio sindacale di una cooperativa fallita. Un tracollo sul quale aveva inciso la condotta degli amministratori che avevano omesso di redigere i bilanci di due annualità e tenuto la contabilità in modo tanto irregolare da rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società e la sua gestione. Unica certezza era il danno prodotto alla cooperativa, non solo dagli amministratori ma anche dai sindaci che non avevano mai denunciato le irregolarità avallando le azioni degli amministratori e assumendo deliberazioni di competenza dell’assemblea. Responsabilità dalle quali si sfila il ricorrente che si appella alla sua condizione di ineleggibilità: l'”investitura” era avvenuta malgrado un precedente rapporto di lavoro alle dipendenze della cooperativa. Circostanza che fa scattare la decadenza automatica e, considerando la quale, lui stesso aveva dato le dimissioni dalla carica. Per la Corte d’Appello il ricorrente era però comunque perseguibile per culpa in vigilando essendo rimasto in carica per un lasso di tempo. Secondo la Corte territoriale la decadenza d’ufficio prevista dall’articolo 2399 del codice civile per l’ex dipendente – anche nella vecchia formulazione vigente all’epoca dei fatti – non sarebbe stata sufficiente ad escluderene la responsabilità che deriverebbe dall’accettazione dell’incarico e dello svolgimento delle funzioni.
La Suprema corte prende però le distanze dalla conclusione dei giudici di seconda istanza. La Cassazione sottolinea che in presenza delle situazioni ipotizzate dal codice civile la decadenza opera automaticamente a prescindere dal procedimento di accertamento.
L’efficacia immediata della causa di decadenza priva dunque il ricorrente della qualità di sindaco facendo così cadere il presupposto sul quale si regge la domanda di responsabilità esercitata dal curatore, in base all’articolo 146 della legge fallimentare. Una situazione, precisano i giudici, che non può essere modificata nè in considerazione dell’accettazione dell’incarico nè dallo svolgimento del ruolo. La norma imperativa dettata dall’articolo 2399 tende, infatti a scongiurare il rischio di un effetto “sudditanza” da parte di chi ha avuto con la società un rapporto di lavoro tale da far sorgere dei dubbi sull’indispensabile imparzialità che il ruolo di sindaco richiede.
La norma, nella sua nuova formulazione, dispone che non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono d’ufficio coloro che sono legati alla società o alle sue controllate «da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza».