18.03.2013

Shopping di primavera tra i settori

  • Il Sole 24 Ore

Il 2013 è l’anno del ritorno all’equity. Anzi, no, contrordine: meglio rinviare a tempi migliori. Il prolungamento della recessione e le incognite politiche suggeriscono l’opportunità di una mossa attendista per arrivare alla fine dell’anno, sperando in un quadro più chiaro in Italia (e in Germania, dopo le elezioni) e finalmente in un miglioramento della congiuntura.
Tanto per cambiare, la confusione è grande sotto il cielo dei mercati. Eppure i sostenitori dell’equity non si sono scoraggiati e contano adesioni di peso. Il rinvio della ripresa e la possibilità di correzioni a breve hanno infatti allontanato la schiarita, ma senza modificare il panorama. «Il quadro macroeconomico – conferma Chris Iggo, Cio global fixed income di Axa investment managers – sta comunque migliorando». Una spinta importante arriva anche dall’avarizia del comparto obbligazionario che, dopo i record del 2012, quest’anno sembra decisamente orientato a elargire guadagni meno munifici.
Per quanto concerne la traduzione in pratica di queste convinzioni, i settori dei listini che riscuotono consensi sono piuttosto numerosi. La tastiera è abbastanza ampia e si allarga dalla finanza alla salute, passando attraverso utility e alimentare e senza trascurare il lusso.
Rappresentativa di questa “scuola di pensiero” è una recente analisi, realizzata da Goldman Sachs, dal titolo Sectors: not cyclical, not defensive, but in search for growth. «Il nostro parere – spiegano gli analisti – è che le azioni europee conservano un buon valore, specialmente se paragonate ai bond, anche se a breve termine i rischi sono elevati e la crescita molto debole. Cerchiamo storie di crescita strutturale che non siano ancora pienamente incorporate nei prezzi dei titoli».
Un compito difficile, tanto più che alcuni settori vivono una condizione di difficoltà non passeggera e non congiunturale. Goldman Sachs parla di «trappole value»: il riferimento è ai comparti telecomunicazioni regolamentate e oil&gas, per i quali il consiglio è quello di evitare esposizioni mantenendosi sottopesati, pur in presenza di valutazioni convenienti.
C’è poi un secondo gruppo di attività (definite «growth costose») per le quali il suggerimento è di mantenere una posizione neutrale. Ne fanno parte i titoli delle società attive nel food&beverage, pure caratterizzate da buoni ritmi di crescita e bassi livelli di volatilità. Altri settori più da vendere che da comprare sono i consumi al dettaglio, le costruzioni e le commodities in genere.
Infine i comparti dei listini considerati terreno di caccia ideale per questa stagione: automobilistico, personal and household goods, salute. Ma anche il comparto finanziario: in particolare, secondo Goldman Sachs, i titoli assicurativi, che beneficiano della diminuzione dei livelli di rischio e valutazioni convenienti.
La posizione della celebre, e criticata, Casa di investimento è dunque chiara. Ma è isolata? Rappresenta una fuga in avanti? Dal momento che sono numerosi e qualificati gli operatori che sostengono tesi analoghe, non sembra che sia così. Spiega, per esempio, Michele de Michelis, responsabile investimenti di Frame asset management: «C’è un evidente desiderio degli investitori di incrementare in questo momento i risky asset in portafoglio e in particolare l’equity. È interessante notare che non è l’aspettativa di un miglioramento della congiuntura internazionale ad alimentare questo sentiment, ma piuttosto la “sete” di rendimento che spinge a comprare asset rischiosi, vendendo gli enormi stock accumulati in questi anni di bond governativi che non rendono nulla e anzi hanno rendimenti reali negativi».
Dunque la “grande rotazione” da bond ad altre asset class non si fermerà, grazie anche all’aiuto di diversi fattori: «La combinazione dell’attendismo delle Banche centrali, di bassa crescita economica e di bassa volatilità – conclude Martin Moeller, responsabile dei portafogli azionari globali e Svizzera e gestore del fondo Ubam 30 global leaders di Union Bancaire Privée – potrebbe contribuire a un ulteriore calo del premio di rischio azionario rispetto a livelli che sono ancora elevati».