12.07.2021

Semplificazione, non basta il macete, serve un Caterpillar

  • Italia Oggi

C’è qualcosa di perverso nel nostro sistema fiscale: da almeno vent’anni, infatti, tutti i governi che si sono succeduti, che pur avevano nel loro programma la semplificazione delle norme tributarie, hanno fallito nell’intento. Anzi, ogni timido passo in questa direzione ha prodotto un aumento della complessità del sistema. Ancora: da tempo spending review e disboscamento della giungla delle detrazioni fiscali sono sulla bocca di tutti, eppure nel 2011 queste erano 241, nel 2020 sono arrivate a 602, un balzo in avanti del 150% in soli dieci anni!

Per chi governa è facile trovare un’ottima ragione per concedere una nuova detrazione, ma è impossibile riuscire a tagliarne anche mezza. Se andiamo ad analizzare le detrazioni più importanti in termini di costi per le casse dello stato, al primo posto troviamo gli incentivi all’edilizia, in particolare al risparmio energetico (21 miliardi), al secondo posto quelle per garantire una certa progressività impositiva, il c.d. bonus Renzi (11 mld), al terzo gli incentivi al welfare (10 mld), e così via. Difficile sostenere che non siano obiettivi ragionevoli e degni di essere tutelati. E tuttavia l’insieme di una miriade di interventi ragionevoli e motivati (contenuti in 256 interventi normativi!) ha creato una giungla legislativa sempre più intricata e nel suo insieme difficile da giustificare. Oltre che da applicare.about:blank

È chiaro che andando avanti di questo passo, tra poco la giungla diventerà impenetrabile. E d’altra parte è impossibile intervenire in modo settoriale senza creare distorsioni e iniquità che genererebbero conflitti e tensioni politiche difficili da gestire. L’unica possibilità, a questo punto, è usare il macete. O meglio, il Caterpillar. Si è infatti ampiamente sperimentato, negli ultimi anni, l’inutilità di qualsiasi tentativo di semplificazione parziale del sistema tributario, che finisce inevitabilmente per aggrovigliare sempre di più la matassa, invece di sbrogliarla.

Quindi, azzerare tutto e ripartire da capo, ma questo è naturalmente possibile solo nell’ambito di una riforma fiscale complessiva. Una riforma che abbia a fondamento un paradigma diverso rispetto a quello utilizzato negli anni ’70 per costruire l’attuale sistema tributario, che era fondato sull’autodichiarazione dei redditi e l’autoliquidazione delle imposte: questo approccio, comune a tutti i paesi evoluti, sembra aver già esaurito tutte le sue potenzialità. Tanto è vero che ovunque sta implodendo in sistemi sempre più aggrovigliati e instabili.

Ci vuole un po’ di coraggio, ma forse è il momento di cominciare ad immaginare un sistema tributario diverso, magari non più imperniato sulla tassazione diretta e sull’autodichiarazione dei redditi. Che sfrutti le potenzialità digitali, inimmaginabili fino a qualche anno fa, per eliminare adempimenti, scadenze, accertamenti, evasione ecc.. Purtroppo, non sembra che la riforma allo studio del governo si muova con la determinazione necessaria ad un cambio di paradigma così radicale. Ne uscirà il solito pastrocchio, che eliminerà una o due aliquote in cambio di nuovi adempimenti. E dopo pochi mesi si ricomincerà a parlare della necessità di una semplificazione tributaria.