di Marco Rogari
Un mini-sconto da 1,8 miliardi agli enti locali agendo sulla Robin tax con conseguente nuovo appesantimento di 1 miliardo dei tagli ai ministeri. È questa la sintesi dell'accordo raggiunto, faticosamente e non senza difficoltà sulle coperture, nella maggioranza sulle modifiche alla manovra. Un'intesa, duramente contestata da Comuni e Regioni e con l'incognita del "caso-dicasteri", con cui viene confermata l'abolizione del contributo di solidarietà sui redditi elevati, ma non per statali e pensionati, che viene coperta con il pacchetto fiscale anti-evasione congegnato dal ministro Giulio Tremonti, di cui fa parte anche la stretta sulle agevolazioni per le società cooperative. Confermato anche lo stralcio dal decreto delle misure sulle Province, che confluiranno nel disegno di legge costituzionale di riforma dell'assetto istituzionale, con cui saranno anche dimezzati i parlamentari.
All'accordo si giunge con il contributo attivo di Tremonti, che non a caso, dopo un vertice con il presidente del Senato Renato Schifani e il ministro Roberto Calderoli, firma in calce, insieme al relatore Antonio Azzollini (Pdl), i ritocchi alla manovra. «I saldi resteranno assolutamente invariati», garantisce il ministro dell'Economia scegliendo per una breve conferenza stampa la poltrona del presidente della commissione Finanze di palazzo Madama, Mario Baldassarri (Fli), uno dei suoi principali antagonisti. «Oggi – afferma Tremonti – il Senato ha definito i contenuti del decreto manovra, con grande efficacia e responsabilità. Il testo sarà approvato con due sole differenze rispetto a quello iniziale» (tutto il gettito della Robin tax ai governi locali e il pacchetto anti-evasione in sostituzione del contributo di solidarietà). Tremonti fa anche una mini-apertura all'opposizione, dichiarandosi pronto ad accogliere l'emendamento già presentato dal Pd, primi firmatari Anna Finocchiaro e Enrico Morando, sulla spending review per contenere le spese della pubblica amministrazione.
La faticosa intesa sulle modifiche, tra cui anche quella che frena la prevista liberalizzazione degli orari dei negozi (tornerebbe a essere limitata alle località turistiche), sblocca, dopo diversi giorni di stop and go, l'iter del decreto al Senato in commissione Bilancio. Che ieri è riuscita ad approvare soltanto l'emendamento del Governo sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari (tribunalini) e che da questa mattina proseguirà le votazioni "no stop" per consegnare già lunedì il testo all'Aula di Palazzo Madama.
Ma l'intesa non stempera le tensioni che stanno accompagnando il percorso parlamentare della manovra da oltre 45 miliardi. I primi ad andare all'attacco sono i Comuni, scontenti del mini-sconto, con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno (Pdl), particolarmente duro. All'attacco vanno anche le Regioni, con il governatore lombardo Roberto Formigoni, e quello del Lazio, Renata Polverini (entrambi del Pdl), che tornano a puntare il dito contro l'insostenibilità dei tagli.
Si apre poi il caso ministeri. La decisione di utilizzare tutti gli 1,8 miliardi di gettito atteso dalla Robin Hood tax sul fronte degli enti locali, privano i dicasteri del miliardo di alleggerimento dei tagli previsto dalla manovra. Tagli che tornano ora a quota 6 miliardi (7 se s'include il Dl 98). Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parla apertamente di «rischio-paralisi» per i ministeri. Un'eventualità avallata anche dalle valutazioni dei tecnici di diversi dicasteri. L'intesa, passata con la Lega in silenzio, continua a inoltre a suscitare perplessità in diversi ambienti del Pdl per la decisione di ancorare gran parte delle coperture a misure anti-evasione, e per questo motivo duramente criticata dall'opposizione. Tanto è vero che nel Pdl c'è chi ipotizza che la partita non sia ancora chiusa e che alla fine il Governo sarà di fatto costretto a esercitare la clausola di salvaguardia, ovvero a ricorrere a un aumento dell'Iva, sul quale il Tesoro ha sempre frenato. Silvio Berlusconi, che non ha mai negato questa eventualità, ieri sera da Parigi ha detto che, se proprio dovesse essere necessario, si potrebbe anche decidere un aumento dell'Iva al 22% per tre mesi.
Il Senato, mentre il Quirinale continua a seguire con una certa preoccupazione il tormentato cammino della manovra, intanto cerca di accelerare. Anche per questo motivo Schifani ha chiesto a maggioranza e opposizione di sfrondare il più possibile gli emendamenti. Il fantasma della fiducia però resta dietro l'angolo e potrebbe materializzarsi la prossima settimana una volta concluso l'esame del testo in commissione.