Le aziende italiane «non sono sott’acqua — dice Alessandra Ricci, amministratrice delegata di Sace —. Grazie alla loro capacità di competere, sono state in gradi di resistere a tre eventi catastrofici. Sull’anno prossimo siamo positivi, soprattutto per le imprese medio grandi. Tutte dovranno affrontare la transizione energetica ma deve passare il messaggio che per l’azienda la sostenibilità è un vantaggio, non un costo». Il 30 novembre Ricci era a Dubai per la Cop28, la conferenza dell’Onu sul clima. È la prima volta per Sace, che a Dubai ha presentato la nuova strategia Esg. Il gruppo, controllato dal ministero dell’Economia, sostiene l’internazionalizzazione delle imprese italiane legandola anche, ora, alla sostenibilità, con nuovi strumenti. Uno, fino a 60 miliardi, è il piano Archimede che subentrerà alle misure emergenziali, le garanzie di Stato (come Garanzia Italia) sui finanziamenti alle imprese italiane colpite dalle crisi, introdotte dal 2020.
Che obiettivi avete?
«Vogliamo coinvolgere 65 mila piccole e medie imprese entro il 2025 nella piattaforma “Ecosistema Esg”, per accompagnarle verso la sostenibilità. Per le aziende medio grandi, più del 25% delle garanzie Sace nel 2024 sarà a supporto di operazioni Esg. Vogliamo raggiungere il 50% nel 2030, anche grazie ad Archimede».
Che cos’è Archimede?
«La garanzia Sace sui prestiti che sarà strutturale, per sostenere le imprese anche dopo la fine della cornice emergenziale. È in legge di Bilancio, ci stiamo organizzando per essere pronti appena passa la manovra, si aggiungerà alle Garanzie Green nel mercato domestico. L’abbiamo chiamata così per l’effetto leva che può generare sugli investimenti. Garantisce fino al 70% del finanziamento presso le banche. Dura 25 anni contro gli 8,5 di Garanzia SupportItalia: durata ideale per gli investimenti infrastrutturali. Il plafond è di 60 miliardi per il 2024-29, è rivolto alle imprese medio-grandi. Con le misure emergenziali abbiamo erogato 70 miliardi a 10 mila imprese dall’aprile 2020».
Perché siete andati a Dubai?
«Il tema della sostenibilità è nel nostro piano industriale Insieme, al 2025. L’obiettivo 17 dell’Agenda 2030 dice che la sostenibilità non si raggiunge da soli, bisogna cooperare: la nostra linea. Il mondo degli Emirati è legato all’oil & gas ma sta investendo nella transizione ecologica».
Quanto vale l’export italiano verso gli Emirati arabi uniti?
«Sei miliardi. Prevediamo di chiudere l’anno con una crescita delle esportazioni verso i Paesi Opec intorno all’11%, in linea con gli ultimi dati Istat, e del 6,7% nel 2024. Tassi più alti dell’Ue e degli Usa».
Come va l’export di beni, in generale?
«Non chiuderemo il 2023 con i 650 miliardi previsti ma un po’ sotto, a 630-640, +2-3%, e l’anno prossimo prevediamo circa 660 milioni. In ogni caso è un terzo del prodotto interno lordo nazionale ed è l’unica componente che ha portato alla crescita, malgrado l’incertezza legata alle tensioni geopolitiche che sta frenando ovunque gli investimenti, e il prodotto interno lordo negativo della Germania che fa rallentare l’Europa».
Che cosa state facendo per la sostenibilità delle imprese?
«Ci muoviamo in tre modi: mettiamo a disposizione conoscenza; favoriamo i contatti; diamo servizi finanziari. Abbiamo diviso le imprese in tre fasce: quelle del futuro, che nascono sostenibili: per esempio lavorano nell’idrogeno, nell’economia circolare. Le tradizionali, che vanno accompagnate nella transizione, come le acciaierie. E quelle che subiscono un impatto diretto dal cambiamento climatico, devono investire per mettersi in sicurezza».
Gli imprenditori sono pronti?
«Non sempre. Spieghiamo loro che gli investimenti sostenibili sono un vantaggio innovativo. Innanzitutto rendono efficienti i processi: per esempio, si può produrre l’acciaio con un minore consumo di energia. Significa aumentare il margine operativo e il merito di credito in banca. Inoltre i grandi compratori sono sempre più focalizzati sui produttori allineati ai parametri Esg. O ci sei o non ci sei».
Essere sostenibili conviene?
«Sì. Investire in sostenibilità e innovazione rende più competitivi del 20% sui mercati esteri e migliora il conto economico. Spostiamo l’attenzione dall’etica del “sostenibile è bello” alla crescita».
Le imprese italiane hanno una rete di contatti sufficiente per farlo?
«Non sempre. Perciò vogliamo favorire i contatti con i grandi acquirenti esteri, per esempio in un mercato sottopotenziato come gli Emirati. Possiamo garantire finanziamenti verso controparti estere e organizzare incontri. Ora lo facciamo anche in chiave Esg con lo strumento del Green push. L’obiettivo è valorizzare l’export made in Italy a supporto della transizione ecologica internazionale. Per esempio, la scorsa settimana abbiamo garantito 300 milioni di prestito a Raizen, operatore energetico brasiliano, per facilitare le esportazioni italiane della filiera legata alla sostenibilità. Così Raizen diventa cliente delle aziende italiane e si impegna ad avere contatti commerciali con loro. Prevediamo nuove operazioni Green Push per 2 miliardi entro il 2025».
Prima Sace faceva il contrario: finanziava chi era già cliente degli italiani.
«Sì, prima supportavamo l’export già esistente, eravamo follower. Ora siamo beginner. Se l’azienda cliente raggiunge certi livelli di acquisto dall’Italia ha tassi vantaggiosi. Abbiamo finanziato così anche un’azienda degli Emirati che lavora sulla gestione integrata dei rifiuti, Beeha, per decine di milioni».
Altro strumento nuovo nel piano sulla sostenibilità è il reverse factoring Esg: come funziona?
«Anticipiamo i soldi al subfornitore dell’azienda italiana in modo più conveniente se raggiunge certi obiettivi di sostenibilità. Abbiamo un progetto pilota con Fincantieri, vogliamo arrivare a dieci convenzioni entro il 2025».