Ma come si è visto al Senato — dove la legge sulla responsabilità civile è stata approvata il 20 novembre scorso con 150 sì, 51 no e 26 astenuti — in Parlamento si è formata una maggioranza trasversale (escluso il M5S e, per motivi opposti, la Lega) disposta ad andare fino in fondo. Perché, come ha ripetuto il ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd), «sulla responsabilità civile bisogna correre perché ce lo chiede l’Europa e poi perché le norme attuali non tutelano il cittadino».
Conti alla mano, si è scoperto che dall’entrata in vigore della Vassalli (1988), su oltre 400 ricorsi per risarcimento proposti da cittadini soltanto 7 si sono conclusi con un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento per dolo o colpa grave da parte dei magistrati.
Quando al governo c’era Berlusconi, il centrodestra tentò di inserire in Costituzione la responsabilità civile dei magistrati (Riforma del Titolo IV della Parte II della Carta) e poi provò a introdurre la «responsabilità diretta» dei magistrati (emendamento Pini alla legge comunitaria del 2010). Quei tentativi vennero respinti con le unghie dal centro sinistra. E anche a settembre del 2014, quando il leghista Candiani presentò il suo emendamento al Senato il governo pose la fiducia pur di bloccare la responsabilità diretta. Poi, il 24 settembre, il governo Renzi ha presentato la sua proposta sulla responsabilità civile e da quel momento il «partito delle toghe», un tempo influente all’interno del Pd, non ha più avuto alleati in Parlamento.
Il testo che stasera (o domani) arriva al voto finale «non è punitivo nei confronti dei magistrati e non lede la loro autonomia», afferma il relatore Danilo Leva (Pd). Ma le novità che preoccupano i magistrati sono molte. A partire dalla limitazione della clausola di salvaguardia prevista dalla vecchia legge Vassalli che ai fini della responsabilità non considera «l’attività di interpretazione di norme di diritto e quelle di valutazione del fatto e delle prove». Ci sono poi la ridefinizione del concetto di colpa grave (che include, appunto, il travisamento del fatto e delle prove) e una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato: il cittadino avrà 3 anni di tempo (e non più 2) per presentare la domanda di risarcimento contro lo Stato. Che, a sua volta, potrà esigere al massimo come rivalsa metà (oggi un terzo) dell’annualità dello stipendio del magistrato.