Alitalia, la compagnia che è fallita due volte, piace e vola da sola grazie ad un’iniezione di liquidità da 900 milioni, meno della metà di quanto messo sul piatto inutilmente da Etihad 4 anni fa. In queste ultime settimane ha attirato su di sé l’occhio di falchi che conoscono il settore a menadito, come il fondo americano Cerberus – che ha spolpato e rivenduto a pezzi Air Canada nel decennio scorso ricavandone un quarto di miliardo di dollari – e di compagnie blasonate come easyJet e Lufthansa. Perché?
Il segreto di questa insperata rinascita si legge solo andando a pescare tra i numeri, portati in un’audizione in Parlamento dai commissari Stefano Paleari e Luigi Gubitosi. Intanto Alitalia piace perché ha un numero di dipendenti inferiore ai concorrenti. La società oggi ha 9mila persone operative e 1.600 in cassa integrazione. I costi sono uguali o inferiori a molti concorrenti, a partire dalle low cost e ancor di più se il raffronto viene fatto con i fondamentali finanziari e operativi del gruppo tedesco. Per la sua flotta da 120 aerei, Alitalia utilizza un pacchetto di piloti e assistenti di volo paragonabile a quello delle low cost, come easyJet, e sicuramente migliore di Lufthansa. C’è anche un patrimonio umano e professionale indiscutibile, dai piloti agli assistenti di volo fino alla manutenzione leggera.
Tutto bene quindi? Non proprio. Che il giocattolo vada venduto lo pensano in molti, compresi i commissari che però aspettano il momento e le condizioni migliori. E così la pensa uno degli amministratori della compagnia più amati e forse invidiati dai suoi successori. Infatti gli unici bilanci da incorniciare risalgono a 20 anni fa grazie all’ad Domenico Cempella. Che sulla vendita ha le idee molto chiare: « Il processo dovrebbe essere guidato dal governo per garantire al Paese un vettore in grado di sviluppare traffico e quindi valore. Inoltre – aggiunge Cempella – sembra che il vettore tedesco sia interessato a servirsi di Alitalia per alimentare la propria rete dalla Germania, piuttosto che da e per l’Italia. In ogni caso – conclude – mi pare che i commissari stiano facendo un buon lavoro: sono intervenuti su quelle voci di spesa che gridavano vendetta come carburanti e leasing, migliorando i conti. Questo significa che l’azienda non è con l’acqua alla gola, ma ha modo di scegliere i tempi per la cessione, operazione comunque ineludibile. E male non sarebbe prevedere una sorta di golden share a garanzia dello sviluppo di Alitalia». Ci sono anche altri punti deboli che andrebbero contrastati subito se non si vorrà arrivare a fine inverno con l’acqua alla gola. Andrea Giuricin, docente di Economia dei Trasporti presso l’università Milano Bicocca, ceo di TRA consulting è un profondo conoscitore del settore aereo. Per Giuricin la ex compagnia di bandiera non potrà ballare da sola molto a lungo: «Non se guardiamo i conti portati dai commissari in Parlamento nelle ultime ore. Di questo passo, se consideriamo oltre 31 milioni di “ rosso” nei mesi estivi, quelli più importanti e profittevoli, si intravedono perdite pari ai 500mila euro al giorno del passato ». Quindi le cose sono cambiate di poco se si guarda al risultato finale. « Se poi confrontiamo i dati con i concorrenti allora il futuro è ancora più incerto: da giugno a ottobre le compagnie quotate hanno messo a segno dei risultati importanti: Ryanair vola con 896 milioni di utili. Lufthansa ha un ebitda positivo per 2 miliardi. Servono molti soldi per sostenere collegamenti come quelli previsti per il Sud Africa, – conclude Giuricin – e in genere prima di vedere dei frutti passano anche due anni. E Alitalia non può aspettare ma soprattutto non può sbagliare nulla. I commissari devono agire in fretta vendendo sì a condizioni vantaggiose, ma senza arrivare al voto con altri sei mesi di incertezza».
Lucio Cillis