Per settimane la querelle sullo «spalma incentivi» per il fotovoltaico ha riempito i social network, più sensibili forse alle sorti della «green economy». Il governo vuole affossare le energie rinnovabili, è stato il rumore di fondo. Amplificatosi a dismisura dopo ciò che il premier Matteo Renzi ha detto all’assemblea del Pd di sabato: «Abbiamo riempito di sussidi chi investiva sulle rinnovabili, ma il costo in bolletta lo hanno pagato gli italiani».
Ma chi ha ragione, se qualcuno ha ragione, tra governo e lobby del fotovoltaico? È realista lo scenario catastrofista che vede all’orizzonte fallimenti a catena dei produttori e la fuga di investitori internazionali, scioccati ancora una volta dallo stravolgimento retroattivo delle regole? Come spesso accade la matassa è ingarbugliata, e si tratta di provare a sbrogliare filo per filo le responsabilità e gli interessi in gioco.
La prima delle responsabilità , a guardare bene, è proprio della politica, e ha raggiunto il suo punto massimo alla fine del 2010 quando con il decreto «salva-Alcoa» (che con l’Alcoa aveva poco a che fare) si sono aperte le porte a incentivi senza freni. Un bengodi. Curioso che il primo firmatario di quella norma fosse Filippo Bubbico del Pd, seguito però a ruota da quasi tutti gli esponenti dell’arco costituzionale. Risultato: gli incentivi multipartisan al solare fotovoltaico sono esplosi dai 900 milioni del 2010 ai 4 miliardi del 2011, poi ai 6 miliardi del 2012, per essere frenati, solo grazie a un altro decreto, a 6,7 miliardi nel 2013. Quando il governo ha deciso di intervenire, nel 2012, l’incentivo italiano al fotovoltaico era di 313 euro a megawattora, quasi il doppio di quello tedesco (162) e della media Ue (160).
Da allora la politica ha cercato di fare marcia indietro, anche se ormai l’albero, nato storto, è difficilmente raddrizzabile. Ciò che accadrà ora, secondo i produttori fotovoltaici, è che l’allungamento da 20 a 24 anni della durata degli incentivi rischia di mettere le aziende a rischio di «default», di fallimento. Con una riduzione degli incassi (il governo la stima in circa 500 milioni) il timore è che saltino i parametri dei «project financing» in corso con le banche. Se il rapporto tra margine operativo lordo e rata del debito da pagare scende sotto la parità (è questa la clausola usuale) la banca matura il diritto di chiedere il fallimento. Accadrà ? In teoria il rischio di creare «tante piccole Sorgenia», come dice uno degli operatori, esiste. In realtà , e qui si tocca con mano l’interesse del sistema bancario nella vicenda, si potrebbe aprire una stagione di estenuanti rinegoziazioni. Con il sistema del credito stretto tra due prospettive poco esaltanti: accollarsi il peso di nuove sofferenze (c’è chi stima in 40 miliardi di euro il valore complessivo dei finanziamenti al fotovoltaico) o rimodulare oppure rinunciare a parte dei crediti, con tutto quello che ciò comporterebbe ai fini dei requisiti di Basilea. Della questione, dettaglio finora inedito, si è occupato a fine maggio l’esecutivo dell’Abi. Ed è proprio per stemperare questa asperità , e venire incontro alle imprese del solare sbilanciate sul debito, che il governo ha pensato di introdurre l’accesso a finanziamenti garantiti dalla Cassa Depositi. I produttori patrimonialmente più forti potranno invece optare per il taglio secco dell’incentivo, ad oggi stimato nell’8% ma che nel percorso parlamentare potrebbe essere ancora limato. Scapperanno gli investitori internazionali? «Forse quelli che hanno investito solo sulle rendite», si dice a denti stretti dal ministero. Già , i rendimenti. E gli investitori esteri, altro anello della catena degli interessi e delle responsabilità . Su questo punto i numeri delle parti non concordano. Per le aziende fotovoltaiche non avrebbe più senso, oggi, parlare di ricche rendite, e i ritorni (Roe, return on equity) non andrebbero al di là del 5-6%. Assai lontani dal 15% strappato negli anni ruggenti prima del 2012. Secondo fonti ministeriali, invece, una buona fetta delle imprese toccate dallo spalma-incentivi vanta tuttora un «Roe» tra l’8 e il 12%. Non male, tutto sommato.
Politica, produttori, investitori esteri, banche. Ma potrebbe mancare dalla partita il fronte dei produttori elettrici «fossili», quelli che usano gas e carbone? Secondo il sentimento prevalente nei social network, la «distruzione» delle rinnovabili avrebbe come regista occulto proprio la loro potente lobby . Di sussidi a loro favore (il «capacity payment», da pagare per mantenere la sicurezza del sistema, indebolita dalle fonti rinnovabili «non programmabili») si dovrebbe parlare in concreto a breve. Mentre il decreto di ieri taglia i 40 milioni annui garantiti all’Enel per tenere in esercizio 4 centrali a olio combustibile, e 130 milioni per l’interrompibilità , lo sconto a chi accetta di farsi tagliare la fornitura in caso di necessità , eventualità quasi mai verificatasi.
Ma la partita è in pieno svolgimento, e il passaggio in Parlamento riserverà di sicuro altre novità .
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Il Corriere della Sera
19/06/14
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