ROMA – Il primo banco di prova sulle riforme è oggi, alla Camera, ma potrebbe saltare. In calendario – al secondo punto della discussione in Aula – c´è il disegno di legge sul finanziamento ai partiti. Prima però tocca al decreto sulle commissioni bancarie, e se il governo metterà la fiducia – in Transatlantico danno la possibilità al 90 per cento – dei soldi alla politica si finirà per parlare mercoledì o giovedì, e il voto finale slitterà alla settimana prossima. Comunque, il ddl è pronto, i relatori Calderisi (Pdl) e Bressa (Pd) si incontreranno stamattina per le ultime modifiche: aspettavano la relazione tecnica del governo, devono verificare che tutta l´operazione non abbia costi. E forse, inasprire ancora le sanzioni, che nell´ultima versione vanno da una multa di tre volte il valore dell´irregolarità nei bilanci fino alla decurtazione dell´intero importo. C´è poi il dimezzamento dei fondi, 91 milioni all´anno, a partire dalla rata di luglio. Il controllo delle società esterne di revisione, quello della Commissione con giudici della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato e della Cassazione, i tetti elettorali, la pubblicità dei rendiconti, la fine dell´anonimato per i donatori privati sopra i 5mila euro. Non è poco, e non è detto che in aula vada liscia: ufficialmente a remare contro sono i partiti fuori della maggioranza, la Lega e l´IdV, che chiedono misure ancora più drastiche. In realtà, i nemici di questa legge sono molti, e trasversali.
A Palazzo Madama poi riparte la commissione Affari Costituzionali sulle riforma della Carta, ma i senatori non hanno ancora incominciato a votare gli emendamenti, e da oggi dovranno pensare anche al decreto sulla spending review. Il rischio rallentamento è dietro l´angolo, nonostante l´attenzione dimostrata da Napolitano – e dal governo – sull´intero pacchetto. Il testo, che prevede maggiori poteri per il premier, come la nomina e la revoca dei ministri, la sfiducia costruttiva, diverse competenze per Camera e Senato e soprattutto la riduzione dei parlamentari (a 508 la Camera e a 254 il Senato) deve viaggiare di pari passo con la legge elettorale. E quella, è ancor più in alto mare. La bozza su cui si lavorava è impraticabile: «Se si votasse con quella e i risultati fossero come alle comunali – rivela lo “sherpa” democratico Gianclaudio Bressa – neanche Pd, Idv, Sel e Udc messe insieme avrebbero avuto la maggioranza». I democratici pensano al doppio turno (ma nel Pdl sono in pochi a parlarne, come Maria Stella Gelmini). L´ex ministro Giorgia Meloni ha proposto, insieme a 40 deputati, di modificare il porcellum con le preferenze e con una rimodulazione dei premi di maggioranza. Cicchitto sconfessa tutti e dice «né doppio turno né preferenze». Bisognerà aspettare i ballottaggi, poi decideranno.
Nel frattempo, l´orologio è inesorabile. Per approvare le riforme costituzionali (non quella elettorale, ma sono appunto legate) servono due letture alla Camera e al Senato, e tra la prima e la seconda devono passare tre mesi. In più, se non si raggiungono i due terzi dell´Aula ogni volta scatta il referendum. Che potrebbe tenersi solo nel 2014. Quindi, addio riduzione dei parlamentari e addio Camere più efficienti. Almeno per il prossimo giro.