In questo ultimo scenario si dovrebbe inserire una riflessione anche sul tema della proposta di autoriforma, a cui i tre “saggi” – gli accademici Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio – stavano lavorando. La Commissione, voluta fortemente dal presidente di Assopopolari Ettore Caselli, era infatti impegnata in un riammodernamento del sistema del sistema di governance delle banche popolari, ma nel quadro del mantenimento del modello popolare, che gli istituti non vogliono vedere smantellato. Il blitz governativo – che obbliga i primi dieci istituti popolari per attivo a diventare società per azioni nel giro di 18 mesi – ha tuttavia di colpo trasformato lo scenario, e ora si tratta di definire un eventuale nuovo “perimetro” all’interno del quale poter studiare le controproposte. Anche di questo si potrebbe ragionare oggi.
Anche perchè, nel frattempo, l’iter del provvedimento è partito. Dopo la firma del decreto da parte del presidente reggente Pietro Grasso avvenuta nel weekend, il testo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio ed è in vigore dal 25. Entro il 25 marzo dovrà essere convertito in legge, ma per farlo dovrà passare al vaglio delle Commissioni e avere l’ok dell’Aula. A quanto risulta, l’iter partirà dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, quindi realisticamente dopo l’inizio di febbraio. Il testo dovrebbe essere assegnato all’esame congiunto delle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera, dove saranno esaminati gli emendamenti. Uno dei più attesi è quello che prevede il tetto del 5% al diritto di voto, così da evitare uno strapotere dei fondi, a cui affiancare il principio del voto multiplo, che potrebbe essere esteso ai soci storici delle banche come le associazioni di soci o le fondazioni, che vedrebbero così riconosciuta una maggiore rappresentatività in assemblea. Da verificare l’ipotesi di limitare la riforma alle popolari quotate.
Il tema della riforma continua a tenere banco sul mercato. Il decreto preoccupa in particolare anche i lavoratori del settore. Secondo le stime di Assopopolari commentate ieri dai sindacati, la riforma mette a rischio 20 mila posti di lavoro, 80 miliardi di crediti a famiglie e imprese e potrebbe determinare una contrazione del Pil del 3%. I sindacati bancari hanno espresso «riserve» nei confronti del decreto e hanno inviato una lettera al presidente Matteo Renzi e ai presidenti dell’Abi Antonio Patuelli e di Federcasse Alessandro Azzi, evidenziando la necessità di «approfondire meglio opportunità e rischi del percorso avviato». Positiva la valutazione da parte di Luigi Abete, presidente Febaf, secondo cui la trasformazione delle banche popolari in Spa «aumenta la competitività all’interno di questo sistema». A favore anche Federico Imbert, ceo di Credit Suisse in Italia – che giudica «molto positivo» il decreto, perchè «permette aggregazioni» tra gli istituti – e Andrea Bonomi, numero uno di Investindustrial, per il quale «sull’evoluzione delle popolari sono tutti d’accordo, banchieri, il mercato e la Bce».
Sui movimenti di mercato legati alla riforma è intervenuta infine Maria Antonietta Scopelliti, responsabile divisione mercati di Consob. «Ci sono state anomalie prima e dopo l’annuncio» del decreto sulle banche «che comunque non era così inatteso visto che è 20 anni che si parla di riforma delle popolari». «Vogliamo spiegarci le anomalie, ma non è detto che si concretizzino in veri sospetti». Quanto ai tempi delle verifiche, che «non sono brevissimi», l’ordine di grandezza è di «almeno sei mesi».