Il 37% dei voti — 7 mila i soci presenti, in rappresentanza del 32% del capitale — vale comunque due posti nel prossimo cda e così con l’amministratore delegato uscente, Cristiano Carrus, continuerà a sedere nella stanza dei bottoni l’ex presidente Pierluigi Bolla, che nei giorni scorsi aveva attaccato senza mezze misure la lista concorrente. Bolla, consigliere ai tempi delle contestate gestioni Consoli-Trinca, è stato assessore regionale al turismo nella prima giunta guidata da Giancarlo Galan. Industriale del vino, come l’ex presidente della Vicenza Gianni Zonin, Bolla è entrato in corsa a sostituire Francesco Favotto nell’autunno scorso, ma ieri non è riuscito a convincere i soci della sua volontà di rinnovamento.
Per la banca è un punto di svolta, soprattutto alla vigilia di un aumento di capitale da un miliardo di euro che il consiglio — secondo le indicazioni della Consob lette in assemblea — dovrà analizzare nella prima riunione, entro giovedì prossimo.
Una giornata estenuante, l’ha definita alla fine Ambrosini, vissuta a lungo sul filo della minacciata impugnazione. Lontana dall’essere un esempio di trasparenza e di programmazione, l’assemblea ha visto di tutto, dalle poesie alla doppia votazione sulla riduzione del numero dei consiglieri, in fine fissato in 14. Carrus, in quasi un’ora d’intervento, ha ricordato le criticità della banca e la quasi totale dipendenza da un percorso già segnato: aumento di capitale, quotazione in Borsa, ricerca di un partner. «Quella che ho trovato — ha sottolineato Carrus, a tratti urlando la sua ira — non era più una banca del territorio. Era una banca dove le acquisizioni avevano raddoppiato l’importo dei crediti deteriorati».
Ora Veneto Banca volta pagina. Ma resta l’incognita dell’azione di responsabilità verso i precedenti amministratori. Ambrosini è stato chiaro: «Chi sbaglia paga». Ma l’azione non è partita ieri perché, ha sottolineato il neopresidente, non essendo all’ordine del giorno era a rischio di legittimità. «Serve un mese, un mese e mezzo, per un supplemento di indagine. Ma non guarderemo in faccia a nessuno». Dopo dieci ore, va bene anche così.
Stefano Righi