26.11.2012

Revoca dell’amministratore con meno vincoli

  • Il Sole 24 Ore

Se non siete contenti del vostro amministratore di condominio, forse non potrete cambiarlo più facilmente di oggi. Ma di sicuro troverete una cornice di regole più precise. Regole che disciplineranno anche i criteri per la scelta del nuovo professionista cui affidare i conti della “casa comune”.
Le «giuste cause»
La riforma del condominio, votata martedì scorso dalla Camera, elenca almeno una decina di gravi irregolarità in presenza delle quali ogni proprietario potrà fare ricorso al giudice per chiedere la revoca dell’amministratore. Si va dalla mancata convocazione dell’assemblea per votare il bilancio annuale alla mancata riscossione delle quote non pagate dai condòmini morosi. Ma l’elenco di legge è solo esemplificativo, e saranno i giudici a doverlo completare, cercando il giusto equilibrio tra le infrazioni minori e quelle che possono effettivamente far traballare tutta la gestione o incrinare il rapporto di fiducia.
Ad esempio, pare difficile mettere sullo stesso piano l’amministratore che non versa mai i contributi previdenziali per il portiere e quello che nega a un condòmino l’accesso a un documento di scarsa importanza. Ecco perché sarà fondamentale vedere come le sentenze declineranno i casi di revoca per giusta causa. Anche per evitare che il ricorso al giudice diventi una sorta di “arma impropria” nelle mani di quei proprietari che non riescono a radunare una maggioranza sufficiente a votare il cambio d’amministratore.
Quando non ci sono irregolarità, infatti, il nuovo testo del Codice civile riprende il principio giurisprudenziale secondo cui la revoca è sempre possibile in qualsiasi momento – anche ad annualità in corso – ma va votata in assemblea. Con la stessa maggioranza richiesta per la nomina (metà più uno degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno metà dei millesimi) o con il quorum più basso eventualmente previsto dal regolamento condominiale. Anche se, a ben vedere, questa procedura potrebbe incontrare un paio di ostacoli tutt’altro che trascurabili: primo, l’assemblea dovrà essere convocata dallo stesso amministratore che si vuol cacciare; secondo, si dovrà mettere in preventivo un risarcimento del danno o, nella migliore delle ipotesi, una buonuscita.
Le condanne penali
Le nuove regole per la revoca entreranno in vigore sei mesi dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Dalla stessa data, diventeranno obbligatorie anche le nuove condizioni per l’esercizio dell’attività di amministratore. A regime, serviranno determinati requisiti di onorabilità – come l’assenza di condanne penali per reati di una certa gravità o l’iscrizione nell’elenco dei protesti cambiari – oltre a un diploma di scuola secondaria superiore e a corsi di formazione iniziali e periodici.
L’elenco dei reati che bloccano l’accesso alla professione include ad esempio la truffa, l’appropriazione indebita, la corruzione e le false attestazioni.
Corsi e lezioni periodiche
Al di là dell’ambito penale, l’impatto delle novità sarà decisamente ridotto per gli amministratori fai-da-te e per tutti coloro che esercitavano già l’attività professionale.
Secondo la nuova legge, quando l’amministratore è nominato tra i condòmini che vivono nel palazzo, si può fare a meno del diploma e dei corsi di formazione. Il che finirà per esonerare quasi tutti i 277mila amministratori – su un totale di 334mila – che gestiscono solo un edificio.
Quanto agli altri, la formazione iniziale e il diploma saranno richiesti solo a chi non potrà dimostrare di aver svolto almeno un anno di attività di amministrazione di condominio nei tre anni precedenti l’entrata in vigore della riforma. Se si aggiunge che quasi tutti gli amministratori professionali hanno fatto almeno le scuole superiori – il sondaggio dell’Anaci nel 2010 aveva rilevato il 98,9% di diplomati e laureati tra i propri associati – si capisce bene che il vero snodo sarà quello della formazione periodica. Ed è un tema su cui le associazioni di categoria hanno già sollevato più di una perplessità, temendo il proliferare di corsi e formatori improvvisati. In gioco non c’è solo l’affare delle lezioni, quanto il riconoscimento dell’attività di formazione che le associazioni svolgono da anni, pur senza riconoscimenti legali.