Un’informazione che potrebbe risultare importante a partire dal primo incontro con l’ufficio delle Entrate per spiegare di essere in regola e quindi evitare di andare all’accertamento vero e proprio. Le disponibilità sul conto corrente potrebbero, infatti, spiegare le spese per incrementi patrimoniali. Da una delle lettere realmente inviate che «Il Sole 24 Ore» ha avuto il modo di consultare e che viene riproposta a lato con valori arrotondati per garantire la non individuabilità del contribuente, risulta come il «peso» degli investimenti possa determinare uno scostamento molto notevole (superiore di oltre tre volte) rispetto al reddito dichiarato. Questo è sicuramente in linea con la sensazione che sarebbero stati considerati casi ben oltre la soglia di tolleranza del 20% rispetto a quanto indicato in Unico, ma è anche l’effetto della modifica normativa del nuovo redditometro. A differenza del passato, infatti, lo strumento attuale non “spalma” più gli investimenti su cinque anni (quello di sostenimento e i quattro precedenti) ma li carica solo nell’anno in cui le spese vengono effettuate. Naturalmente potrebbe trattarsi di un caso particolare, ma va comunque ricordato che l’incremento – come indicato nel Dm Economia del 24 dicembre 2012 – va considerato al netto dei disinvestimenti nell’anno e nei quattro precedenti e del totale dell’eventuale mutuo contratto.
Non mancano, però, margini per dimostrare l’eventuale regolarità fin dal primo incontro. Spesso il prezzo indicato nell’atto di acquisto di un immobile non corrisponde alla spesa effettivamente sostenuta nell’anno di acquisto dell’immobile. Può accadere, infatti, che nel contratto preliminare di acquisto il contribuente abbia versato parte dell’importo contestato dall’ufficio. Inoltre, si potrebbero far valere eventuali disinvestimenti patrimoniali (immobiliari e/o finanziari) fatti nell’anno e nei quattro anni precedenti, attraverso l’esibizione delle distinte bancarie da cui si evince l’accredito delle somme disinvestite. Una volta giustificata anche se in parte la spesa contestata per l’acquisto dell’immobile, occorrerà poi verificare se permane sempre lo scostamento del 20% tra il maggior reddito sinteticamente accertabile e il reddito dichiarato. Se il divario rimanesse, si potrebbe dimostrare che il finanziamento della spesa o la capacità contributiva desunta dal redditometro derivano da risparmi di annualità precedenti, redditi esenti (come borse di studio), redditi assoggetti a tassazione alla fonte con ritenuta, o ancora che le spese sono state sostenute in virtù di smobilizzi patrimoniali come la vendita di un immobile.
Ma la spesa potrebbe anche essere stata sostenuta da terzi. Però bisogna dimostrarlo. Un’indicazione viene dalla giurisprudenza. Diventa utile aver conservato e quindi presentare copia degli assegni circolari emessi a favore dei venditori e gli estratti conto intestati a chi ha effettuato la spesa. Da questo si può trarre anche un insegnamento per il futuro: come ulteriore cautela è consigliabile che da ora in poi venga evidenziato nell’atto di compravendita se l’immobile è stato acquistato grazie alle dazioni di denaro di terzi, in genere familiari.