03.06.2014

Rappresentanza più ampia in caso di contenzioso

  • Il Sole 24 Ore

L’articolo 1131 del Codice civile, in tema di rappresentanza e legittimazione dell’amministratore, non è stato modificato (se non per il rinvio all’articolo 1130) dalla riforma del condominio (legge 220/2012). Tuttavia vanno registrati parecchi interventi della giurisprudenza, negli ultimi mesi, su questi profili.
Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza n. 25454 del 2013, hanno escluso la necessità della presenza in giudizio di tutti i comproprietari per una controversia tra due singoli condomini, volta all’accertamento della natura condominiale di un’area adiacente a un box auto e alla rimozione dei manufatti realizzati da uno di essi, il quale aveva, tuttavia, eccepito di essere titolare dello spazio conteso in forza di precedente assegnazione. In proposito, le Sezioni unite hanno ritenuto di non dover affrontare l’ulteriore questione legata alla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio, vista come alternativa a quella semmai necessaria di ciascun condomino, e non hanno perciò fornito una definitiva risposta sull’ambito di estensione della legittimazione processuale (in particolare passiva) dell’amministratore stesso per le controversie su interessi comuni ai condomini.
È noto che la legittimazione passiva dell’amministratore per le liti sulle parti comuni dell’edificio serve a rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini. Rispetto alle questioni attinenti gli interessi condominiali, l’amministratore si presenta, in sostanza, come «rappresentante legale», regolato da una disciplina inderogabile a tutela dei terzi.
Sempre la Cassazione, con la sentenza 3636 del 17 febbraio 2014, ha definito, anzi, l’amministratore «necessario rappresentante della collettività dei condòmini», sia nella fase di assunzione di obbligazioni per la conservazione delle cose oggetto di proprietà comune, sia, all’interno della medesima collettività, quale unico referente dei relativi pagamenti.
La Suprema Corte è tornata ancora sulla questione con la sentenza 28141/2013, successiva alla pronuncia delle Sezioni unite, affermando che l’amministratore del condominio è legittimato passivamente in via generale, agli effetti del comma 2 dell’articolo 1131 del Codice civile, nelle liti aventi a oggetto le azioni reali relative alle parti comuni, senza che debba ritenersi necessaria la partecipazione al processo di tutti i condòmini, e ciò in presenza di domanda con cui in via riconvenzionale i convenuti avevano chiesto l’accertamento della proprietà esclusiva di un sottotetto. Si è qui spiegato come la legittimazione dell’amministratore abbia portata generale, in quanto estesa a ogni interesse condominiale, facendosi ovviamente salva, per le cause aventi a oggetto materie che eccedono le attribuzioni dell’amministratore, l’esigenza di subordinare il potere di rappresentanza in giudizio dell’amministratore all’autorizzazione a resistere (o alla ratifica) da parte dell’assemblea.
Ancor più di recente, la Suprema Corte, con sentenza n. 1451 del 23 gennaio 2014, ha ribadito che l’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all’impugnazione di una delibera da parte del condomino senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni. Così è stato chiarito come l’ambito applicativo della sentenza 18331/2010 della Cassazione, la quale impone l’autorizzazione dell’assemblea o la successiva ratifica per la costituzione in giudizio dell’amministratore: nella nuova pronuncia si spiega che questo obbligo va limitato alle sole liti esorbitanti dai poteri dell’amministratore, contrapponendosi così ad altre pronunce della stessa Seconda sezione (4733/2011), che avevano inteso in senso più ampio, e anzi onnicomprensivo, il dettato delle Sezioni unite del 2010.