«La decisione non è stata unanime». Così il presidente della Bce ha affermato durante la conferenza stampa, fra il gelo dei giornalisti presenti. Poi la parziale rettifica: «C’era unanimità sulle intenzioni di adottare misure ulteriori se necessarie, ma non sulla decisione di tagliare i tassi e di comprare asset». A fronte della revisione al ribasso delle previsioni macroeconomiche per l’anno in corso, Draghi è arrivato alla riunione del Consiglio direttivo con il pacchetto poi presentato. E, come spiegano fonti interne alla Bce, non ha voluto sentir parlare di retrocedere di un centimetro da quanto proposto. Due le ragioni. Primo, perché non agire avrebbe avuto un impatto troppo negativo sulla reputazione della banca centrale, specie dopo le indicazioni prospettiche lanciate da giugno a oggi. Secondo, perché Draghi è consapevole che la congiuntura, in caso di ulteriori tentennamenti, potrebbe peggiorare ancora nell’area euro periferica, la più in difficoltà.
Come raccontano fonti interne, a favore di Draghi c’era la maggioranza dell’Executive board: il portoghese Vitor Constâncio, il francese Benoît Cœuré, il lussemburghese Yves Mersch e il belga Peter Praet. In pratica, tutto il board a esclusione di Sabine Lautenschläger. Differente la situazione per quanto riguarda il Consiglio direttivo. I più scettici sono stati il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, l’austriaco Ewald Nowotny e l’olandese Klaas Knot. Una spaccatura prevedibile, ma che questa volta sarebbe andata ben oltre la normale dialettica. Fra chi desiderava attendere più dati macroeconomici e chi intendeva agire subito per evitare il peggio, ha prevalso quest’ultima visione.
Contattati via email, i portavoce dell’Eurotower si trincerano dietro le parole di Draghi. Ma lasciano intendere che la discussione sull’acquisto di titoli cartolarizzati è stata intensa. Le indiscrezioni che trapelano parlano di una lotta serrata fra Weidmann e Draghi, l’ennesima di una lunga serie. Il punto focale avrebbe riguardato non tanto l’utilizzo di questo strumento, che Draghi considera di pura politica monetaria, ma la sua tempistica. Perché attivare ora quest’arma, considerata dai mercati finanziari come la più estrema possibile, correndo il rischio di creare un disincentivo per i governi ancora impegnati nel consolidamento fiscale e nell’adozione delle riforme strutturali promesse? Perché esaurire le cartucce a disposizione proprio adesso? Perché, nell’ottica di Draghi, non si poteva fare altrimenti. Troppo debole e disomogenea la ripresa economica, troppo marcato il calo della fiducia degli investitori istituzionali, troppo elevata la contrazione dei flussi di capitali esteri verso la periferia dell’area euro. Argomenti, quest’ultimi, contro cui Weidmann non ha potuto controbattere. L’esitazione avrebbe generato altra incertezza.
Il rischio che stava correndo la Bce era molto simile a quello vissuto nell’estate di due anni fa. Prima quindi del discorso di Draghi alla Global investment conference del 26 luglio 2012, quando spiegò alla comunità finanziaria che avrebbe fatto qualunque cosa, nei limiti del suo mandato, per preservare l’integrità dell’eurozona. Questa volta la paura non riguardava lo spread fra i bond governativi, bensì qualcosa di più effimero, la deflazione. Draghi ha infatti ricordato che i prezzi rimarranno bassi per un prolungato periodo temporale. E contro la deflazione nemmeno la Germania è immune.