Al ministero dell’Economia dietro Piazza Syntagma accusano i creditori di pretendere un accordo su tutti i punti del memorandum approvati dal vecchio esecutivo. «Si stanno rimangiando il compromesso del 20 febbraio quando ci avevano dato la possibilità di proporre le nostre politiche a patto che rimanessimo senza deficit – racconta una funzionaria vicina al vice premier Dragasakis –. Siamo convinti che i negoziatori tecnici abbiano ricevuto un ordine politico. Molti governi europei non vogliono vedere la Grecia sopravvivere senza seguire l’ortodossia dell’austerità. Così quando hanno capito che riuscivamo a spendere meno e incassare le tasse stabilite è scattato l’allarme e l’ordine di bloccare le trattative».
Che i rapporti siano incandescenti lo testimoniano le critiche fatte filtrare da quasi tutte le capitali contro Varoufakis. Il ministro delle Finanze ha risposto ieri su Twitter alla sua maniera, provocatorio e aggressivo, citando il presidente Usa Franklin Delano Roosevelt: «Sono uniti nel loro odio contro di me. Che quell’odio sia il benvenuto». «Mi sento come Roosevelt in questi giorni».
Ma al di là degli scontri di personalità, quali sono i punti critici che impediscono l’accordo? Da fonti europee e greche sostanzialmente tre: pensioni, privatizzazioni e contratti di lavoro. «In tutti i casi – sostiene lo sherpa greco senza scheda telefonica – quando arriviamo a discutere nel merito delle nostre idee la risposta è sempre la stessa: “Non potete calcolare il risultato economico di un’iniziativa totalmente nuova, dovete fare come diciamo noi”. Così la trattativa si arena».
Qualche esempio. Le pensioni. Il sistema è crollato nel febbraio 2012 al primo haircut del debito greco quando anche i buoni del Tesoro accantonati dalla Previdenza Sociale sono stati svalutati del 75%. Da allora le pensioni greche sono state tagliate anche del 50% e la proposta dell’attuale governo è di aumentare gli assegni minimi. «Per noi è una questione umanitaria visto che quasi la metà del Paese sopravvive grazie ai nonni – dice il mediatore greco –. Quanto alla sostenibilità, proponiamo di devolvere alla cassa pensioni il 50% delle future privatizzazioni. L’Europa invece vorrebbe che quei soldi riducessero il debito e, per sostenere il sistema pensionistico, ci chiedono di non alzare i minimi e di fondere in un’unica cassa gli accantonamenti obbligatori e quelli volontari. Chi ha versato in più verrebbe derubato. Sarebbe legale in qualsiasi altro Stato d’Europa? Comunque se obbedissimo verrebbe a mancare sia il sostegno umanitario sia quello alla crescita dei consumi interni».
Altro esempio: la raccolta fiscale. «Noi vorremmo – continua il tecnico senza telefonino – gravare sui grandi conglomerati e ridurre l’evasione fiscale. Dall’ex troika ci rispondono che non si può calcolare quanto riusciremmo a raccogliere, quindi meglio aumentare l’Iva e le imposte dirette che hanno parametri sperimentati. Sarebbe l’ennesimo colpo alle classi medio basse e non otterremmo alcun stimolo alla crescita. Il problema è che neppure ci ascoltano. Il muro contro muro non si risolve tra noi tecnici, ci vuole una decisione politica: vogliono soffocarci nei nostri debiti o permetterci di risollevarci?» .