Sono passati ventun mesi dal 22 settembre 2015, giorno in cui la Guardia di finanza perquisì la sede della Banca Popolare di Vicenza. Dieci indagati, fra cui l’allora presidente Gianni Zonin, rimasto in carica per 19 anni fino alle dimissioni, due mesi dopo avere ricevuto l’avviso di garanzia. Due i reati contestati: aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Secondo i pubblici ministeri vicentini, fra il 2013 e il 2014, la banca si sarebbe ricapitalizzata in modo irregolare, spingendo all’acquisto di azioni i soci che chiedevano mutui e prestiti. Un sistema di “operazioni baciate” che avrebbe eroso il capitale di vigilanza, portando il valore del titolo al crollo: da 72 euro a 10 centesimi. A conti fatti, 6 miliardi bruciati, con danno per 118mila risparmiatori.
Le condotte e i reati contestati sono gli stessi che hanno portato la procura di Roma a indagare sul crac di Veneto Banca. Ma se nell’inchiesta gemella la magistratura romana ha ordinato sequestri e provvedimenti di custodia, con l’ex dg Vincenzo Consoli finito ai domiciliari nell’agosto 2016, a Vicenza invece non un solo euro è stato bloccato a garanzia dei danneggiati. E la chiusura delle indagini — data per imminente da mesi, ma sempre rinviata — si attende in un clima di scontro fra procura e ufficio del giudice per le indagini preliminari. Intanto il tempo passa. A settembre scadranno i due anni dall’apertura del fascicolo, il limite massimo previsto dalla legge per la fase investigativa.
Il pasticcio nasce da una richiesta di sequestro da 106 milioni che i pm titolari dell’inchiesta, Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, hanno trasmesso nel gennaio scorso all’ufficio gip di Vicenza. Ma la giudice Barbara Maria Trenti, dopo avere studiato per quattro mesi il fascicolo, si è poi dichiarata incompetente per territorio. E ha trasmesso gli atti a Milano, ritenendo che lì si fosse consumato il reato di ostacolo alla vigilanza nei confronti di Consob. Un passaggio apparentemente senza senso, visto che la Consob ha sede a Roma. I profili più importanti di ostacolo, tra l’altro, riguardano Bankitalia. Ma proprio sulle errate comunicazioni a Consob si basa la richiesta di sequestro dei pm vicentini. Risultato: provvedimento bloccato.
I pm di Milano, studiato il fascicolo, hanno rinviato la questione all’ufficio gip milanese, dichiarandosi a loro volta incompetenti. Il gip Marco Del Vecchio ieri ha chiarito che dovrà essere la Cassazione — a cui anche la procura vicentina si è rivolta, impugnando il provvedimento del gip di Vicenza — a decidere quale ufficio debba procedere nelle indagini per quanto riguarda l’ostacolo a Consob. Intanto, gli ex soci danneggiati che ancora sperano di potere portare a casa i soldi persi (il 28 percento dei danneggiati non ha accettato transazioni con la banca), tremano all’idea che anche l’inchiesta finisca in nulla.
Il procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri, in una nota ufficiale ha definito «abnorme» la decisione del gip. E il clima a Vicenza è tale che la giudice Trenti ha chiesto e ottenuto in via urgente un servizio di scorta. La sua decisione di non eseguire i sequestri, dichiarando l’incompetenza, ha infatti sollevato critiche feroci da parte delle associazioni degli ormai ex azionisti. E persino il sindaco di Vicenza, Achille Variati, è sceso in bagarre: «Il tentativo di trasferimento di parte dell’inchiesta a Milano non è una buona notizia. L’inchiesta rischia di essere annacquata, ritardata, dimenticata ». Lo spettro sono le due inchieste aperte nel 2001 e nel 2008 sulla Popolare, entrambe naufragate. La prima — in cui i vertici della banca (fra cui Zonin) finirono indagati per 58 milioni di minusvalenze “spariti” dal bilancio 1998 — si concluse con una richiesta di archiviazione firmata dall’allora procuratore capo Antonio Fojadelli. Il quale nel 2011 lasciò la magistratura e tre anni dopo fu nominato nel cda della Nordest Merchant, banca d’affari prima controllata e poi incorporata da BpVi.
Anche la seconda inchiesta, nata nel 2008 da un esposto di Adusbef sul «ricorso illegittimo al prestito obbligazionario subordinato per reperire 220 milioni di rafforzamento patrimoniale », venne archiviata. La paura a Vicenza è che il copione si stia ripetendo di nuovo. Lo stesso procuratore Cappelleri, nella nota pubblica in cui critica la decisione del gip fa riferimento alle «aspettative dell’opinione pubblica», alla «lentezza nell’azione giudiziaria» e ai «ripetuti auspici e lecite aspettative di azioni concrete».
Franco Vanni