28.01.2016

Popolari, verso le doppie nozze

  • Il Sole 24 Ore
Formalmente, stando alle informazioni trapelate dal Tesoro, ieri mattina in Via XX Settembre si è parlato solo delle prospettive del sistema bancario italiano e del nuovo meccanismo di garanzia pubblica sulla cessione delle sofferenze, dopo l’accordo raggiunto a Bruxelles. In realtà, tra il ministro Pier Carlo Padoan, il ceo di Banca Popolare di Milano, Giuseppe Castagna e quello di Ubi, Victor Massiah, si sarebbe entrati nel dettaglio di quelle che potrebbero essere le opzioni concrete del consolidamento. Con i rispettivi ruoli.
In cima alle priorità, come noto, c’è il Monte dei Paschi di Siena. Reduce da dieci giorni da incubo in Borsa, cessati solo dopo il ritorno di fiamma delle prospettive di una fusione. Con chi? Probabilmente con una banca italiana, come avrebbero ribadito ieri i vertici della banca ospiti a Siena della Fondazione Mps. Oggi Rocca Salimbeni approverà i dati preliminari relativi al 2015, che probabilmente confermeranno i passi in avanti sulla via del risanamento ma non sgombereranno il campo dalla necessità di trovare un partner.
E così si spiega l’attivismo del Tesoro, che peraltro di Siena è – non per scelta – uno dei maggiori azionisti, visto il 4% ereditato dalla conversione dei Monti bond. In Italia l’unica banca in grado di rendere fattibile un’integrazione con Siena è Ubi, su cui si starebbero concentrando le pressioni: numeri alla mano Banca Mps vale a Piazza Affari circa due miliardi di euro, mentre Ubi capitalizza oltre 4,1 miliardi. In più Rocca Salimbeni, ormai, stando alle quotazioni a Piazza Affari vale meno del proprio patrimonio, per l’esattezza circa 0,2 volte i mezzi propri: una fusione, dunque, creerebbe un badwill, su cui Bergamo chiede rassicurazioni alle autorità (ad esempio ponendo nel primo bilancio della nuova banca una ‘riserva da fusione’, come riportato ieri da Radiocor). Ubi, inoltre, chiederebbe garanzie anche sulla liquidità del nuovo agglomerato, vale a dire sulle condizioni di accesso al mercato almeno per i prossimi due anni. Garanzia che può dare solo la Banca centrale europea, la prima a insistere perché Siena si trovi un’integrazione.
Sempre da indiscrezioni, Victor Massiah, numero uno di Ubi, sta puntando i piedi e chiedendo ulteriori condizioni a vantaggio del proprio istituto. Le trattative, insomma, sono ancora in alto mare, con l’esito tutto da verificare. Compreso il potenziale coinvolgimento della Banca Popolare di Milano: ieri Castagna avrebbe ribadito le proprie perplessità rispetto a un’operazione a tre, cioè una fusione Ubi-Bpm a cui aggiungere successivamente Mps.
Anche per questo motivo proseguono fitte le trattative tra i vertici di Piazza Meda e il Banco Popolare in vista di un possibile merger. Anche ieri il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Piero Giarda, e il numero uno del Consiglio di Gestione, Mario Anolli, hanno incontrato i vertici del Banco Popolare per ragionare sugli assetti derivanti dall’ipotetico merger. «Non ci siamo ancora, ma sono convinto che ci si possa arrivare», aveva detto nei giorni scorsi l’a.d. del Banco, Pier Francesco Saviotti. Come noto, lo schema di fusione prevede la nascita di un gruppo con sede operativa a Verona, con sede legale a Milano e un consiglio composto da 9 consiglieri veronesi, 7 di espressione milanese e tre indipendenti. A Carlo Fratta Pasini verrebbe assegnata la poltrone di presidente del Cda, a Pier Francesco Saviotti andrebbero le redini del Comitato esecutivo, mentre al Ceo di Bpm, Giuseppe Castagna, toccherebbe la guida della nuova banca; per Piero Giarda si profilerebbe la presidenza della controllata Bpm.
A conferma dell’attivismo di Bpm, da segnalare che ieri Giarda e Anolli hanno incontrato anche i vertici di Ubi, ovvero il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Andrea Moltrasio, e il capo della Gestione, Franco Polotti. In questo caso, l’ipotesi è di mantenere il modello duale, con la spartizione del Cds e Cdg tra le due piazze.