Il dato è incontrovertibile. Nella giornata in cui Mario Draghi, a sorpresa, ha tagliato i tassi (dallo 0,5% allo 0,25%) Piazza Affari, la peggiore in Europa, ha perso il 2,07%. Francoforte invece ha chiuso in rialzo (+0,49%) e Parigi è rimasta invariata (-0,06%). La stessa Madrid ha ceduto solamente lo 0,9%. Così viene da chiedersi: perchè il listino milanese è crollato? La risposta è articolata. In primis, può guardarsi all’andamento dei settori. La nostra Borsa, al di là del caso specifico di Telecom Italia (-4,26), è stata schiacciata dalle banche: il Ftse italia bank ha perso il 2,9%. Da UniCredit (-3,34%) a Intesa SanPaolo (-2,84%) fino a Ubi (-2,68%), un po’ tutti i titoli degli istituti di credito sono scivolati all’ingiù. Completamente un’altra storia quella raccontata dal Dax tedesco: qui il comparto bancario ha guadagnato addirittura il 2,4%. Un andamento, a ben vedere, simile a quello delle azioni del credito francese: il Cac Bank index è cresciuto dell’1,89%. Insomma, la differente dinamica dei listini è da attribuirsi anche, e soprattutto, alle banche.
«Il movimento non stupisce- sottolinea Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroeder Italia -. Il mercato, in un primo momento, ha applaudito al taglio dei tassi che è assolutamente sensato». E poi? «Passata l’euforia gli investitori hanno preso atto che la Bce» non ha messo in campo alcuna strategia per «ridurre la differenza del costo del finanziamento tra i Paesi dell’Europa continentale e quelli mediterranei».
In tal senso, ad esempio, basta ricordare che il bond corporate a 2 anni di un principale istituto di credito italiano paga un premio (circa 40-50 centesimi) sopra il saggio del BTp biennale che ieri era a 127 punti base. Si tratta di un rendimento, giocoforza, ben più alto di quello che deve affrontare una banca tedesca: quest’ultima, infatti, si confronta con il tasso del Bund a 2 anni allo 0,09%. A fronte di un simile squilibrio, l’indicazione da parte di Draghi dell’Ltro a 3 mesi fino al 2015 «non è parsa sufficiente», dice Spreafico. Così, sono fioccate le vendite.
Non c’è però solamente il costo del funding. Secondo diversi esperti ha giocato anche il timore per la deflazione. Certo, durante la conferenza stampa l’euro Governatore ha negato l’esistenza di segnali in tal senso. E, tuttavia, l’avere comunque ammesso che ci sarà un «periodo di bassa inflazione» può avere indotto gli operatori ad uscire dai mercati più deboli: Italia, in primis.
Ciò detto, altri analisti richiamano invece le possibili difficoltà sul margine d’interesse da parte delle stesse banche. Più scende il tasso Bce, è l’indicazione, e più deve essere limato il saggio attivo degli istituti di credito. La considerazione, in sé, è corretta. Seppure, almeno ieri, non era molto gettonata nelle sale di trading. Ben più consistente, al contrario, l’idea della limatura delle posizioni da parte dei fondi esteri. «Nel recente passato – ricorda Antonio Cesarano, economista di Mps capital services – abbiamo assistito all’ingresso nell’Eurozona di un grande flusso di capitali. Le banche», anche quelle italiane, «sono state tra i titoli maggiormente comprati. Adesso, si aggiustano le posizioni. E si vende, quindi, chi ha corso di più».