Un colpo di reni per spingersi sopra i 30mila punti. Con il rialzo dello 0,56% registrato ieri, l’indice Ftse Mib di Piazza Affari è tornato a superare una quota che non appariva sugli annali addirittura dal giugno del 2008. Si tratta di un valore simbolico, certo, che giunge al termine di una lunga rincorsa e che tuttavia non può nascondere un cammino da inizio anno che pone la Borsa italiana in cima alla classifica dei listini europei in questo 2023, grazie a un progresso che sfiora il 27% con banche (+45% l’indice di settore) e auto (+57%) a tirare la volata.
Non è stato un acuto isolato quello di Milano: sempre ieri hanno chiuso in rialzo anche Parigi (+0,74%) e Francoforte (+0,79%), che ha addirittura aggiornato i massimi storici, e a spingere sull’acceleratore sono state ancora una volta le fiduciose attese sulle mosse delle Banche centrali. Le parole con cui Isabel Schnabel, inserita fra le file degli esponenti più «rigoristi» nel consiglio Bce, ha definito «abbastanza improbabile» un ulteriore rialzo dei tassi a causa del ridimensionamento dell’inflazione sono state interpretate, a torto o ragione, come un segnale premonitore per una rapida inversione nella politica monetaria.
Le attese (ottimiste) sui tassi
I mercati assegnano adesso una probabilità attorno al 75% a un taglio dei tassi da parte dell’Eurotower già nell’incontro di marzo e una riduzione complessiva addirittura di 150 punti base per l’intero 2024. E i risultati di una simile «scommessa» (sarebbero infatti sei i tagli previsti nelle ultime sette riunioni dell’anno) si vedono soprattutto sul versante obbligazionario, dove i rendimenti dei titoli di Stato proseguono la loro rapida discesa. Ieri, per esempio, il BTp decennale è sceso sotto il livello del 4% per la prima volta dal giugno scorso, mentre il Bund tedesco si è assestato al 2,24% per uno spread poco mosso a 174 punti base.
Del tutto simili le attese per la Federal Reserve, che dovrebbe abbassare i tassi Usa sempre di 150 punti base con una prima sforbiciata a marzo, ma in questo caso Wall Street mostra maggiore prudenza. Se i tassi dei Treasury continuano infatti a scendere (4,17% ieri il decennale, minimi da tre mesi), la Borsa di New York sembra invece procedere sempre con il freno a mano tirato e con un occhio di riguardo per i dati macroeconomici.
Ieri il calo oltre le previsioni del numero dei posti di lavoro creati (-617.000 unità a 8,733 milioni in ottobre, livello più basso dall’inizio del 2021 contro attese per 9,3 milioni secondo la Job Openings and Labor Turnover Survey, Jolts) è stato letto come un segnale di rallentamento per l’economia statunitense e giustifica l’andamento divergente di azioni (in ribasso) e bond (in rialzo). Il tutto in vista del piatto forte rappresentato dai non farm payrolls di novembre, i più seguiti dati sul mercato occupazionale in programma proprio questo venerdì.
I prezzi (cari) di Wall Street
Parlando in modo più specifico di Wall Street, il cui andamento guida come di consueto anche gli altri listini azionari, occorre considerare anche le valutazioni, che non sono proprio a buon mercato. «Con un rapporto prezzo/utili pari a 32 – avverte Gianluca Ungari, Head of Portfolio Management Italy di Vontobel – i livelli attuali sono inferiori soltanto a quelli raggiunte all’epoca della bolla internet del 2000».
L’esperto prosegue nel paragone, ricordando che come allora anche oggi il rally sia stato determinato da un numero ridotto di società – le cosiddette «magnifiche 7», che valgono quasi il 30% dell’indice S&P 500 e hanno un rapporto prezzo/utili addirittura di 53 – per spiegare però che «le azioni Usa sono certo care, ma non tutte». Valori più elevati rispetto alle medie storiche «non rappresentano necessariamente indicatori puntuali di vendita per l’azionario», rassicura comunque Ungari, che consiglia comunque di mantenere un atteggiamento prudente nella fase attuale: «I precedenti storici – ricorda – insegnano che il momento giusto per comprare equity corrisponde all’arrivo della recessione, che a nostro avviso si manifesterà negli Stati Uniti durante il secondo trimestre del prossimo anno». Ancora qualche mese di pazienza, quindi, per chi non è riuscito ad agganciare il rally dell’ultimo anno.