09.04.2015

Piano per la Ue: tesoretto di 6 miliardi con le riforme

  • La Repubblica
Pubblica amministrazione, competitività, Jobs act, giustizia, istruzione, fisco. Saranno le riforme il nuovo asso nella manica di Renzi e del suo ministro dell’Economia Padoan per ottenere uno «sconto» sui conti pubblici da parte di Bruxelles pari allo 0,4 per cento del Pil, un «tesoretto » di 6,4 miliardi. L’espressione- chiave è «clausola delle riforme», approvata dalla nuova commissione Juncker su pressione dell’Italia e della Francia e che fa parte del cosiddetto pacchetto- flessibilità nel quale figurano analoghi bonus per chi è «circostanze eccezionali» per la congiuntura avversa o sta facendo forti investimenti pubblici.
La carta che Padoan ha giocato nel 2015 ha fatto leva sui tre anni di recessione che ci portiamo alle spalle, quella del 2016, per la quale già arrivano cenni di assenso dalla Commissione, punterà invece tutto sul pacchetto di decreti e disegni di legge già varati e in discussione tra Camera e Senato e che il «Programma di stabilità», che sarà spedito a Bruxelles, cifra in termini di effetti sulla crescita. Il pacchetto complessivo già dal prossimo anno darà, secondo il governo, una crescita aggiuntiva del Pil dello 0,4 per cento (poco meno di 7 miliardi) che ha consentito, insieme alla ripresa internazionale, di far salire l’obiettivo di crescita del prossimo anno all’1,4 per cento. In termini di grandi aggregati: 16 miliardi in più di consumi e 18 di investimenti.
L’effetto delle riforme, «strutturali » come vengono definite, è destinato ad avere un impatto crescente nel tempo: in quattro anni, nel 2020, la crescita aggiuntiva sarà di 1,8 punti percentuali rispetto allo scenariobase senza interventi, che raggiungeranno 3,1 punti nel 2025 e addirittura i 7,6 punti di crescita nel «lungo periodo».
C’è solo uno scalino da superare, messo in evidenza dal documento governativo, e che si presenterà nel 2016: un peggioramento dello 0,5 del deficit e dello 0,6 del debito rispetto al Pil, a causa delle risorse necessarie alla riduzione del cuneo fiscale e un calo dei consumi privati dovuto alle riforme destinate a sostenere la competitività. Un prezzo da pagare al percorso di crescita.
Il Programma di stabilità, che qui anticipiamo, calcola, voce per voce, la crescita del Pil attribuita a ciascuna delle sei riforme sulle quali si conta di più che stanno camminando tra Camera e Senato o devono essere oggetto di provvedimenti attuativi del governo e che, va segnalato, sono oggetto di discussione sul piano sociale e trovano l’opposizione dei sindacati e in settori parlamentari, soprattutto sulla parte restante del Jobs act e sulla riforma della pubblica amministrazione.
Il risultato promesso è comunque rilevante. Il Jobs act, con il contratto a tutele economiche crescenti, nuovi ammortizzatori sociali e agenzia per l’impiego, quando saranno a regime, produrrà l’impatto maggiore: pari al 0,6 punti di Pil nel 2020. Segue la riforma Madia della pubblica amministrazione, attualmente al Senato, con criteri di valutazione per gli statali e interventi su Prefetture e Camere di commercio: totale 0,4 in quattro anni. Un altro 0,4 di incremento viene attribuito al disegno di legge Guidi sulla concorrenza: dalla compravendita di immobili alle norme sulla Rca auto. Il pacchetto la «Buona scuola», presentato il mese scorso, con l’introduzione di criteri di valutazione per gli insegnati, dovrebbe contribuire con uno 0,3 per cento. Infine la giustizia, con la riduzione dei tempi del processo civile e il potenziamento delle sezioni specializzate dei tribunali per le imprese, dovrebbe «aiutare» per lo 0,1, lo stesso incremento che darà la semplificazione del fisco a partire dalla fatturazione elettronica.
Perché Bruxelles dia il semaforo verde definitivo allo «sconto» di 6,4 miliardi, salvandoci dunque da ulteriori tagli, le riforme non dovranno tuttavia rimanere sulla carta. Le regole della «comunicazione sulla flessibilità » varate il 13 gennaio scorso, chiedono che le misure siano «rilevanti», che possano «migliorare significativamente i saldi di finanza pubblica di lungo termine» e soprattutto – terzo punto cruciale – che siano state «approvate o in fase avanzata di attuazione». La partita è aperta.