20.12.2013

Piano anti-crisi, critiche dell’Europarlamento

  • La Repubblica

BRUXELLES — Avrà vita dura l’accordo tra i governi per creare un meccanismo di risoluzione bancaria, definito alle prime ore di ieri dai ministri delle Finanze e sottoposto oggi all’approvazione dei capi di governo. L’avvertimento è arrivato da Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo che dovrà dare il via libera all’intesa. Parlando ieri in apertura del vertice, Schulz ha avvertito che il Parlamento non potrà accettare il meccanismo di risoluzione (SRM) così come è stato definito dal Consiglio: troppo complicato, troppo dispersivo è troppo dipendente dalla volontà dei governi. «E’ come se in un pronto soccorso, prima di curare un ferito, si dovesse riunire il consiglio di amministrazione dell’ospedale. Se approvassimo il meccanismo di risoluzione così come ci viene proposto, non solo perderemmo un’opportunità, ma commetteremmo il più grave errore dall’inizio della crisi», ha spiegato il presidente del Parlamento europeo preannunciando un negoziato «lungo e durissimo» con i governi.
E per il Ppe l’accordo non c’è ancora.
Nei giorni scorsi il presidente della Bce Mario Draghi aveva espresso timori analoghi a quelli manifestati da Schulz. Ieri però, al suo arrivo al vertice, Draghi ha preferito usare toni più positivi: «Si tratta di un passo importante verso il completamento dell’Unione bancaria che la Bce accoglie con soddisfazione. Ora però è importante che parta al più presto il confronto con il Parlamento europeo ». E’ chiaro che la Banca centrale conta sul fatto che il negoziato tra Consiglio e Parlamento porti a correggere le principali carenze dell’accordo, dovute alla necessità di venire incontro ai molti veti posti dalla Germania.
E Francoforte non è la sola a sperare in un miglioramento dell’intesa. In realtà il compromesso definito dai ministri definisce un’architettura generale e fissa alcuni principi di massima, ma lascia ampio margine di flessibilità nella definizione dei dettagli di funzionamento. «Se riusciremo a trovare un buon accordo, sarà sicuramente un grande passo avanti, soprattutto per i contribuenti che non saranno più chiamati, come è stato invece in passato, a salvare le banche dalle crisi», ha spiegato ieri Enrico Letta entrando al vertice.
Tre sono i punti su cui si concentrano le critiche del Parlamento europeo, largamente condivise da una parte dei governi. La prima riguarda la doppia natura del meccanismo, che sarà basato su un regolamento europeo ma anche su un trattato intergovernativo. Quest’ultimo è reso necessario per accogliere le preoccupazioni costituzionali della Germania che, in base ai Trattati attuali, non può dirottare fondi senza un voto del Parlamento nazionale. Per ovviare a questo ostacolo, o si dovevano rivedere i Trattati europei, che nessuno vuole toccare, oppure si deve varare un trattato ad hoc per regolare il funzionamento del fondo di risoluzione, come si è fatto anche per l’ESM, il fondo salvastati.
La seconda obiezione riguarda il meccanismo decisionale, che sarà di fatto indipendente dalla Commissione ma pesantemente condizionato dai governi: nel consiglio di risoluzione, infatti, siederanno non solo il presidente e quattro membri a tempo pieno, ma anche i rappresentanti di tutte le autorità bancarie nazionali. Infine la perplessità più grave è l’impossibilità per il fondo salva stati Esm di finanziare direttamente il fondo di risoluzione durante il periodo transitorio. Questa è stata una condizione irrinunciabile posta dalla Germania. Se sarà chiamato ad intervenire, l’Esm potrà prestare i soldi solo agli stati membri che a loro volta li verseranno alle banche, come è già avvenuto con la Spagna.
Nonostante questi limiti, l’accordo raggiunto sulla risoluzione bancaria costituisce comunque un risultato per molti insperato, visto quanto erano forti le resistenze iniziali della Germania. Berlino ha negoziato duramente ed ha imposto le proprie condizioni, ma alla fine ha accettato che, sul lungo periodo, i rischi del sistema bancario europeo vengano mutualizzati. Potrebbe essere un segnale del «nuovo corso» che Angela Merkel intende imprimere alla politica europea all’inizio del suo terzo mandato alla cancelleria.