Il sistema dei due livelli salariali ha permesso a Chrysler di avere attualmente un costo orario della manodopera (oneri inclusi) pari a 48 dollari, vicino a quello delle fabbriche giapponesi e più basso di quello di Gm (58 dollari) e Ford (57), grazie alla maggiore percentuale di operai assunti al livello minimo. Se Gm avesse un costo medio orario della manodopera Usa allineato a quello di Fca, risparmierebbe poco meno di 1 miliardo di dollari l’anno. L’azienda, che ha respinto le avance di Marchionne, procede a sua volta con ristrutturazione interna e la ricerca di efficienze; secondo il CFO Chuck Stevens, il programma definito “Eccellenza operativa” potrebbe far risparmiare fino a 1 miliardo di dollari entro il 2016.
Qual è l’atteggiamento del sindacato di fronte all’ipotesi delle nozze? Come sottolinea il «Detroit News», «la spinta sempre più decisa di Marchionne verso una fusione trasmette al sindacato un messaggio di disperazione. Una Fiat Chrysler debole non è nell’interesse della Uaw né della città». Forse è questa una delle leve che il top manager Fca potrebbe utilizzare, insieme al rapporto personale con lo stesso Williams, che conosce da dieci anni.
Williams, che ha raccolto nel 2014 l’eredità di Bob King alla guida della Uaw, è un ex marine che ha fama di leader pragmatico; per questo, secondo lo stesso quotidiano di Detroit, ha già commissionato ai suoi una dettagliata analisi comparativa della base produttiva delle due aziende. I risultati? Con l’eccezione dei truck di maggiori dimensioni, «sembra che la base produttiva possa funzionare», ovvero che le sovrapposizioni non sarebbero eccessive. Ma i leader sindacali, conclude il «Detroit News», «non sono convinti che la fusione Fca-Gm abbia senso o che sia nell’interesse dei loro membri». Questo scetticismo, giustificato dalla grande maggioranza di fallimenti di operazioni di questo tipo, è condiviso dai vertici di Gm ed è uno degli ostacoli più alti sulla strada di Marchionne.