Prevedere tre scaglioni diversi per la rivalutazione non avrebbe solo il vantaggio di introdurre quella progressività che non c’era nel provvedimento del governo Monti e che viene invocata dalla Corte costituzionale. Ma limiterebbe anche il peso dell’operazione rimborso. Quantificare i costi, in realtà, è il primo punto da capire, sul quale attendono risposte anche da Bruxelles. Ieri il Nens, il centro studi fondato da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, ha stimato un «buco» superiore ai 16 miliardi di euro. Dal governo dicono che gli arretrati ammonteranno al massimo a 10 miliardi di euro. Ma la somma scenderebbe se ricalcolo e rimborso dovessero essere parziali. Prima di prendere una decisione, dice il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il governo vedrà i sindacati. Fin qui il passato. Ma per le pensioni ancora da liquidare?
Se ne riparlerà con legge di Stabilità. «Vanno riallineati i benefici pensionistici ai contributi effettivamente versati — dice il responsabile economia del Pd Filippo Taddei — mantenendo l’equità e quindi intervenendo solo su quelle più alte». Parole che fanno tornare in pista l’ipotesi del ricalcolo delle pensioni più alte con il sistema contributivo, meno vantaggioso perché basato sui contributi versati e non sulla media degli ultimi stipendi. Proprio ieri l’Inps ha pubblicato i dati sulle pensioni in essere del Fondo elettrici: 4 su 5 sono più alte, anche del 40%, rispetto al livello che avrebbero avuto con il contributivo. Una mano, almeno, potrebbe arrivare dal fabbisogno statale: 29,5 miliardi di euro in questa prima parte dell’anno, 13 in meno rispetto allo stesso periodo del 2014.