23.06.2016

Pensione anticipata il nodo assicurazione peserà sull’assegno

  • La Repubblica

Conviene davvero l’Ape, l’Anticipo pensionistico messo in campo dal governo? Troppi i nodi da sciogliere per rispondere. Primo, il tasso d’interesse da ripagare alle banche per il prestito. Secondo, l’entità delle detrazioni (ma non per tutti) in grado di alleviare il peso delle rate. Terzo, il premio assicurativo che scatta in caso di “premorienza”. Cosa succede se il pensionato muore prima dei vent’anni, cioè della durata del mutuo previdenziale? E chi versa il premio, ovvero il costo della polizza?
Se lo fa lo Stato, i conti non sono lievi, visto che secondo l’Istat la vita residua a 66 anni e 7 mesi – l’età a partire dalla quale si comincia a ripagare l’Ape – è in media pari a 19 anni, inferiore al tempo di rimborso previsto dagli esperti di Palazzo Chigi. Questo significa che se si sceglie di anticipare la pensione da uno a tre anni, l’assegno sarà decurtato per sempre dalla rata del prestito. E le assicurazioni (dunque l’erario) interverranno in ogni caso. Se invece il premio della polizza fosse caricato sulla rata anziché sui conti pubblici, il costo dell’Ape per il pensionato diventerebbe impegnativo. Spingendolo a riconsiderare l’opzione. D’altro canto, nemmeno il ministro dell’Economia Padoan scommette sulla convenienza dell’operazione. E si limita a evidenziarne l’unico effettivo pregio: «Dà libertà di scelta». E chi se ne avvale «deve pagare un costo, non per cattiveria ma perché tutti possano beneficiare di un sistema pensionistico solido».
Un lavoratore nato il primo giugno del 1953 che oggi intasca 2 mila euro netti di stipendio – con una carriera alle spalle fluida, senza buchi e con una progressione accettabile della retribuzione dell’1,5% se non chiedesse di andare in pensione prima, secondo i calcoli di Progetica prenderebbe 1.703 euro dal 2020 in poi, allo scoccare dei 66 anni e 11 mesi. Se invece si avvalesse al massimo dell’Ape, anticiperebbe l’uscita al 2017, cioè a 63 anni e 7 mesi, ma con un assegno ridotto a 1.542 euro, per via dei tre anni di contributi mancanti. E ulteriormente tagliato a 1.267 euro dal 2020 in poi, grazie alla rata del “mutuo” previdenziale da 275 euro al mese. Se poi fosse a suo carico anche l’assicurazione per il rischio morte, la rata lieviterebbe di altri 72 euro, arrivando a 347 euro, quasi un quarto della pensione, già decurtata di 200 euro rispetto all’importo pieno che si avrebbe senza l’Ape. L’assegno precipiterebbe insomma dai 1.703 euro di spettanza ai 1.195. Un salto di non poco conto. E per sempre, di fatto.
In pratica, per tre anni di riposo aggiuntivi il lavoratore sceglie di accollarsi uno speciale mutuo previdenziale (non garantito da alcun bene reale, come la casa, ma dal diritto alla pensione) che nell’esempio di Progetica vale 61 mila e 680 euro. Ne deve però restituire 67 mila e 681 euro in vent’anni, ad un tasso di favore qui ipotizzato dell’1,5%, inferiore anche a quelli di mercato attuali, se si considerano gli spread applicati oggi dalle banche. Con il premio assicurativo, si sale a 70 mila e 925 euro: ben diecimila euro in più di interessi e polizza, costi inevitabili di un’operazione finanziaria, com’è l’Ape, pensata – sostiene Palazzo Chigi per non gravare sui conti pubblici.
Conviene o non conviene, dunque? Dipenderà molto dalle detrazioni che il governo deciderà di mettere in campo, per coprire la rata ed eventualmente il premio assicurativo (a meno che questo non sia del tutto a carico dell’erario). Per chi non è esodato, inoccupabile, disoccupato o esubero sarà dura. Specie se il reddito (ma quale: Isee, lordo, complessivo, pensionistico?) non è basso o bassissimo.

Valentina Conte