Il governo non replicherà la vendita lampo della quota Enel — il 5,7% collocato a febbraio con un incasso di 2,16 miliardi — mettendo sul mercato anche il pacchetto dell’Eni detenuto direttamente dal Tesoro. Lo ha confermato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ieri sera è rientrato da Singapore dopo una missione di due giorni accompagnato dal presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, e dall’ad del Fondo strategico Maurizio Tamagnini. «La quota dell’Eni resterà in mani pubbliche per ora» — ha detto il titolare del Tesoro, che possiede il 4,3% cui si aggiunge il 25,8% in portafoglio alla Cdp, anche se il «per ora» sembra lasciare aperte le riflessioni per il futuro. Una precisazione che potrebbe riferirsi sia ai prezzi in Borsa del Cane a sei zampe, penalizzato nell’ultimo anno dal forte calo del petrolio, sia al buon esito del piano di privatizzazioni contenuto del Def che sarà domani all’esame del Consiglio dei ministri.
Le linee guida del Documento di economia e finanza, note fin da mercoledì, escludono già l’Eni dal capitolo delle vendite di Stato. Per quest’anno si punta sulla quotazione di Poste, sull’Enav e sulla quota di Stm da trasferire al Fondo strategico con un beneficio stimato nello 0,4% del Pil, mentre l’anno prossimo toccherà alle Ferrovie. Il momento non appare il più favorevole per «fare cassa» con il pacchetto Eni. Nonostante la ripresa in Borsa dai minimi di dicembre, l’azione è sotto del 7% rispetto a un anno fa. Il gruppo ha deciso di tagliare il dividendo sul bilancio 2015 a 80 centesimi. E infine servirà tempo per vedere i benefici del nuovo piano presentato dal ceo Claudio Descalzi.
Nella missione a Singapore, appena uscito dalla black list italiana sui paradisi fiscali, Padoan ha seminato per attrarre investimenti dal Far East. Oltre al primo ministro Lee Hsien Loong ha incontrato i gestori dei fondi Gic e Temasek.