13.12.2013

Operai giù del 5%, quadri su dell’11,5% così la crisi ha spaccato il pianeta lavoro

  • La Repubblica

L’ITALIA si avvia a diventare sempre più un Paese nel quale il numero di chi comanda, organizza e dirige supera quello delle persone che “fanno”, producono, si sporcano le mani. Un mondo del lavoro che potrebbe trasformarsi in un apparato pieno dell’esperienza degli ultra cinquantenni, ma senza giovani a cui passare il testimone. Fenomeno che paradossalmente si è acuito proprio durante gli anni della crisi. A dirlo sono i dati Inps sui dipendenti privati (non agricoli), relativi agli anni 2008-2012, elaborati per Repubblica dalla società di ricerca Datalavoro.

In cinque anni in Italia si sono persi oltre 400mila posti di lavorodipendente, pari a una flessione del 3,3%, concentrata nelle fasce più “umili”, lavorativamente parlando, cioè tra giovani apprendisti (—158mila, pari al 25% in meno) e operai (-336mila, ovvero -5%). Mentre però nel primo caso solo il 3,8% era dipendente, nel secondo il dato è più preoccupante perché oltre la metà era contrattualizzata: quella delle tute blu, dunque, è stata la categoria che ha pagato più di ogni altra la crisi, specialmente nel settore delle attività manifatturiere e delle costruzioni. La crisi, al contrario, ha portato al boom di nomine, promozioni, gratificazioni professionali di chi lavora ai piani alti: le posizioni dirigenziali sono infatti diminuite di appena l’1,6% in cinque anni, mentre i quadri sono addiritturacresciuti dell’11,2%. Un dato che si porta dietro il fattore dell’età: «Le aziende non assumono per cui non c’è ricambio generazionale – spiegano da Datalavoro -. I dipendenti più giovani sono quelli che hanno sofferto di più questacrisi, mentre gli anziani si sono stabilizzati se non addirittura rafforzati».
Così, da una parte si assiste a una diminuzione dei contratti a tempo indeterminato tra i 15-24enni (—31%), tra i 25-34enni (—18,9) e addirittura tra i 35-44enni (—4,2%), dall’altra a un incremento quasi speculare tra i 45-54enni (+14%) e tra gli ultra 55enni (+33%). Tendenze simili anche per i lavoratori con contratto a termine che, oltre a dover vivere con la minaccia della precarietà e del futuro, fanno anche i conti con una busta paga più leggera: nel 2012 un assunto definitivamente ha guadagnato 23.700 euro, uno “a scadenza” 9.300 (il 15% in meno rispetto al 2008). E se si è donna è ancora peggio: a parità di grado e di ore lavorate lei guadagna circa un quinto meno del collega maschio. Ma a sorpresa il reddito femminile, in termini reali, è stato eroso meno dalla crisi rispetto a quello maschile (—2,7% contro il — 4,3%) ed è migliorata anche laposizione del gentil sesso nelle organizzazioni del lavoro perché il numero delle dirigenti donne è aumentato del 16,6%. Un dato che fa riflettere, specialmente se confrontato con la flessione del 4% dei dirigenti in pantaloni. «Ancora una volta l’anello debole è rappresentato dai giovani, anche dal punto di vista delle retribuzioni» concludono gli esperti di Datalavoro. «I contratti a termine vengono pagati dal 14 al 20% in meno di 5 anni fa, gli indeterminati, quei pochi che vengono conquistati, dal 5,6 al 7,1% in meno». Un quadro, questo, che scoraggerebbe anche il più ottimista rappresentante della nuova generazione. Rottamato prima ancora di invecchiare.