II leader del G-20 dicono sì al progetto Beps, accogliendo su tutta la linea le 15 raccomandazioni proposte dall’Ocse per mettere all’angolo l’elusione delle multinazionali. Il via libera definitivo è arrivato ieri al termine del meeting di Antalya, in Turchia, dove è stato ratificato il cronoprogramma messo a punto dall’organizzazione parigina.
Nei primi mesi del 2016 quest’ultima dovrà finalizzare la cornice operativa (framework) entro la quale i singoli legislatori potranno poi iniziare a mettere mano a norme e convenzioni. Si tratta di fatto della chiusura del cerchio, dal momento che erano stati proprio i leader del G-20 a dichiarare aperta la caccia ai paradisi fiscali nel meeting di Londra, svoltosi il 2 aprile 2009. Ed era stato sempre il G-20 a commissionare all’Ocse nel 2013 il pacchetto «Beps», acronimo di Base erosion and profit shifting (erosione di base imponibile e spostamento artificioso degli utili nei paesi a bassa tassazione).
Rispetto a cinque anni e mezzo fa lo scenario è radicalmente cambiato sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista operativo, con il segreto bancario ormai crollato e uno sforzo globale verso la trasparenza. Resta ancora enorme, però, il buco di gettito causato dall’aggiramento delle norme fiscali da parte delle imprese con attività multinazionale. I disallineamenti legislativi ancora esistenti tra un’economia e l’altra consentono fenomeni di tax planning aggressivo, che portano gli utili delle «big» alla doppia non tassazione o a scontare un prelievo molto contenuto (talvolta inferiore al 5%). Un’elusione che, è stato ribadito ieri dal segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, sottrae alle casse erariali degli stati tra i 100 e i 240 miliardi di dollari ogni anno. Ossia tra il 4% e il 10% del gettito totale dei redditi d’impresa.
Le 15 «actions» di cui si compone il Beps puntano a regole uniformi e maggiore trasparenza sulle operazioni con l’estero: dalle stabili organizzazioni al transfer pricing, dalla tassazione dell’economia digitale all’abuso dei trattati, dallo stop agli arbitraggi sugli strumenti finanziari ibridi alla stretta sui regimi Cfc. Le circa 2 mila pagine che contengono le best practice non hanno però forza di legge, ma necessitano di essere recepite all’interno degli ordinamenti domestici e delle convenzioni contro le doppie imposizioni. A tale scopo l’Ocse ha da poco avviato il gruppo di lavoro sullo strumento multilaterale di modifica, che consentirà di intervenire su circa 3.500 trattati fiscali sottoscritti dagli stati senza ricorrere a negoziazioni one-to-one (si veda ItaliaOggi del 7 novembre scorso).
«Sollecitiamo fortemente la tempestiva attuazione del progetto e incoraggiamo tutti i paesi e giurisdizioni, compresi quelli in via di sviluppo, a partecipare», hanno affermato ieri i leader dei 20 stati più industrializzati del mondo in una nota congiunta. I quali hanno anche ribadito l’impegno a far partire lo scambio automatico di informazioni finanziarie su scala globale entro il biennio 2017-2018, secondo quanto previsto dal Common reporting standard dell’Ocse.