18.07.2014

Niente Iva all’import con reverse charge

  • Il Sole 24 Ore

La disciplina comunitaria in materia di Iva non consente a uno Stato membro di chiedere il pagamento dell’imposta all’importazione qualora la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo. È il principio affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza depositata ieri (causa C-272/13, Equoland), con la quale è stata censurata l’interpretazione dell’articolo 50 bis, comma 4, lettera b), del Dl 331/93 sposata dall’Amministrazione doganale italiana in caso di irregolare utilizzo del deposito Iva.
La vicenda sottoposta ai giudici Ue originava dalla contestazione, mossa da alcuni Uffici doganali, circa l’utilizzo “virtuale” di un deposito Iva: in sintesi, le merci immesse in libera pratica non avevano assolto l’Iva in dogana in quanto dichiarate per l’introduzione in tale deposito; l’introduzione però non aveva realmente avuto luogo in quanto la presa in carico era stata effettuata solo documentalmente (mediante la loro iscrizione nel registro di magazzino), con contestuale estrazione in virtù di un’autofattura emessa dal soggetto estrattore.
L’amministrazione doganale avviava il recupero dell’Iva all’importazione ritenendo che l’autofattura emessa in relazione alla dichiarata estrazione della merce dal deposito non fosse idonea ad assolvere l’imposta generatasi per effetto, a quel punto, dell’importazione; inoltre, essa chiedeva, a norma dell’articolo 13 del Dlgs n. 471/97, il pagamento di una sanzione pari al 30% del suo importo.
A fronte del ricorso degli importatori, la Commissione tributaria, dubitando della legittimità di una interpretazione che avrebbe avuto come conseguenza quella di far pagare due volte l’Iva a causa dell’inosservanza di un obbligo che appariva puramente formale, ha investito della questione la Corte Ue+, che si è pronunciata in favore degli operatori economici. I giudici lussemburghesi hanno osservato che la normativa comunitaria in tema di Iva non osta ad una disposizione, come l’articolo 50 bis, comma 4, che imponga l’introduzione fisica della merce in deposito Iva, facendosi questione di un obbligo che «nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’Iva». Tuttavia, poiché l’inosservanza di tale obbligo non ha, nel caso concreto, comportato il mancato pagamento dell’Iva all’importazione poiché questa è stata corrisposta nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo, il principio di neutralità dell’imposta impedisce che questa possa essere riscossa una seconda volta.
Ha altresì rilevato la Corte che, siccome la merce non è stata fisicamente introdotta nel deposito fiscale, si potrebbe sostenere che l’Iva era dovuta al momento dell’importazione e, pertanto, il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile potrebbe essere considerato un pagamento tardivo; tuttavia, il Collegio, richiamando la propria consolidata giurisprudenza, ha osservato che un versamento tardivo dell’Iva costituisce, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, solo una violazione formale, come tale sanzionabile nei limiti del principio di proporzionalità e la sanzione di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/97, stante la sua determinazione in misura fissa (il 30% dell’importo), «non è escluso che possa rivelarsi sproporzionata».