12.02.2015

Niente confisca diretta se la cassa societaria è vuota

  • Il Sole 24 Ore

In caso di reati fiscali via libera alla confisca per equivalente sui beni degli amministratori se la confisca diretta nei confronti delle persona giuridica è impossibile perché non c’è denaro nelle casse della società. E quando la situazione di illiquidità è conclamata il pubblico ministero non ha alcun obbligo di fare delle verifiche preventive.
La Corte di cassazione, con la sentenza 6205 depositata ieri, respinge il ricorso di due amministratori, che si erano avvicendati alla guida dell’impresa, contro il sequestro preventivo per equivalente disposto sui loro conti correnti in quanto indagati per non aver versato al Fisco nè le ritenute sugli stipendi dei dipendenti nè l’Iva.
Secondo gli imputati l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame faceva scattare il semaforo verde al sequestro preventivo per equivalente sui conti correnti personali, era illegittimo perchè disposto senza aver prima verificato la possibilità di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta sui beni della società. Un atto dunque in contrasto con l’articolo 322 ter del Codice penale che pone proprio l’impossibilità della diretta come condizione per aprire all’equivalente.
Inoltre la strada della confisca diretta nei confronti della persona giuridica, secondo gli amministratori, era imposta anche dalla considerazione che loro non avevano tratto alcun profitto dal reato contestato, essendo i proventi rimasti nella disponibilità della persona giuridica.
Ma la strada indicata era impossibile da percorrere.
Per poter disporre la confisca diretta del profitto – rappresentato dal mancato versamento di quanto dovuto – è necessario che nelle casse della società ci sia una disponibilità di denaro da aggredire direttamente. E non esiste un obbligo per il pubblico ministero di fare una ricerca preventiva per verificare le disponibilità economiche quando l’incapienza del patrimonio dell’ente risulta dagli atti. Condizione che si era verificata nel caso esaminato.
Dall’esame del provvedimento che è stato impugnato emergeva pacificamente una situazione di oggettiva illiquidità.
Il ministero del Lavoro aveva approvato il programma di crisi aziendale e la stessa società aveva ottenuto l’autorizzazione per procedere alla cassa integrazione per due anni, allo scadere dei quali l’attività era cessata e l’azienda era stata data in affitto. Elementi che rendevano, logicamente prima ancora che giuridicamente, inutile la ricerca preventiva del Pm richiesta dai ricorrenti.
La Cassazione precisa che il principio affermato non contrasta con quello secondo il quale nei confronti della persona giuridica è legittimo il sequestro preventivo,in vista della confisca diretta, del profitto che deriva dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, mentre non lo è la confisca per equivalente perchè preclusa dal decreto legislativo 231 del 2001. Il criterio è applicabile, infatti, solo quando c’è una capienza patrimoniale dell’Ente.