24.03.2016

Nasce un colosso da 170 miliardi

  • Il Sole 24 Ore

Dall’integrazione tra Milano e Verona la terza banca italiana dopo Intesa e UniCredit
Una capitalizzazione complessiva da 5,5 miliardi di euro; attivi per oltre 170 miliardi di euro; 2.500 sportelli con circa 25mila dipendenti; 4 milioni di clienti. È un gigante del credito quello che è destinato a nascere dalla fusione tra Banca Popolare di Milano e Banco Popolare.
Le due banche popolari messe assieme danno alla luce il terzo gruppo bancario alle spalle di Intesa Sanpaolo e UniCredit. Un big con una vocazione fortemente retail, che può contare su una quota di mercato superiore all’8% e radici in alcuni dei territori più produttivi del paese. Le gambe principali poggeranno in Lombardia (dove il gruppo sarà primo operatore con una quota di mercato superiore al 15%), in Veneto (3° con quota superiore al 9%) e Piemonte (3°, con quota superiore al 12%): tre regioni che insieme valgono quasi il 40% del Pil italiano. Bpm e Banco «hanno un territorio che è migliore della Germania», ha detto sabato scorso in assemblea l’ad del Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti. L’aggregazione «è quello che ho sempre auspicato, ritenendo che la cosa migliore fosse un’alleanza lombardo-veneta», ha dichiarato nei giorni scorsi l’ad di Bpm, Giuseppe Castagna.
L’alleanza, nelle attese delle due banche, è destinata a generare sinergie lorde a regime stimate «preliminarmente», come si legge in una nota congiunta diffusa in serata dalle due banche, in 365 milioni annui, di cui 290 milioni da minori costi e e 75 milioni da maggiori ricavi. Il raggiungimento della situazione a regime è previsto entro il 2018. Attesi oneri di integrazione una-tantum stimati in circa il 150% delle sinergie di costo, «in linea con analoghe operazioni». La creazione di valore è stimata in 1,9 miliardi circa, al netto degli oneri di integrazione.
Il Bpm-Banco del futuro avrà dala sua una «solida» situazione patrimoniale, con una Cet1 ratio pro-forma fully loaded pari al 13,6% e phased-in pari al 13,7%, considerando l’aumento di capitale da un miliardo e senza considerare i benefici del previsto passaggio di Bpm ai modelli di rating interni e prima di ogni intervento di ottimizzazione. Solida anche la posizione di liquidità con un indice Lcr «ampiamente superiore al 100%». ?
La futura banca gestirà la mole di crediti deteriorati attraverso la costituzione di un’unità organizzativa dedicata che riporterà direttamente all’a.d. Castagna per «massimizzare efficienza, velocità di recupero e l’ammontare delle relative cessioni».
Dopo il via libera informale della Vigilanza Bce e l’annuncio di un protocollo di intesa, l’alleanza pare insomma davvero a un passo. E dovrà vedere la luce entro il primo novembre, secondo la road map. Certo, tutto dipenderà dalle trattative delle prossime settimane e dai (decisivi) passaggi assembleari. Soprattutto da quello – sempre insidioso – di Piazza Meda, le cui diverse anime interne hanno dato il loro disco verde all’operazione pur chiedendo in cambio il riconoscimento della loro rappresentanza nel futuro gruppo.
Se si guarda al futuro colosso, per ampiezza di portafoglio, dimensione degli attivi e presenza sul territorio, Verona pesa più del doppio rispetto a Milano. Il gruppo scaligero può contare su 120 miliardi di euro circa di attivi contro i 50 circa di Milano. A gestirli sono circa 17mila dipendenti che si confrontano contro i 7.700 circa della banca lombarda. Il duello è nettamente a favore del Banco Popolare anche se la si guarda sotto il profilo dell’ampiezza della rete. La banca amministrata da Saviotti si sviluppa su 1.848 sportelli (comprensivi di Banca Aletti) sparsi in quasi 20 regioni italiane; gli sportelli del gruppo guidato da Giuseppe Castagna, circa 655, hanno una forte concentrazione soprattutto in Lombardia, Piemonte e Lazio.
I rapporti di forza tuttavia si ribaltano quando l’analisi si focalizza sulla qualità degli attivi. Milano ha sofferenze nette pari a 1,5 miliardi di euro contro i 6,5 miliardi circa del Banco. Una migliore qualità, quella del credito di Pop. Milano, che si riflette anche in una minore richiesta di patrimonio di vigilanza da parte della Bce. Francoforte ha posto l’asticella del Cet 1 ratio al 9% contro il 9,55% degli scaligeri. Senza contare che se Verona mostra un Cet 1 ratio simile a quello di Milano (12,4% contro 12,21% in termini fully phased), Milano come detto deve ancora vedersi validati i modelli interni di rating, che da soli valgono circa 100 punti in più di Cet1. Milano, insomma, alla luce del suo portafoglio crediti si vede riconoscere da Francoforte un maggior margine di manovra in termini di capitale. Non è forse neanche un caso che, se si guarda alla capitalizzazione di Borsa, oggi Bpm valga più di 2,9 miliardi di euro contro i 2,47 miliardi del Banco.

Luca Davi