La sentenza n. 2188/2015 sorprende in quanto è un drastico mutamento d’indirizzo rispetto a una prassi che appariva consolidata: l’indifferenza rispetto all’imposta sostitutiva di clausole di recesso «non meramente potestative» .
Le pochissime righe di motivazione disorientano, perché la Cassazione sembra confondere la clausola di recesso ad nutum (cioè completamente discrezionale) con quella per giustificato motivo.
La prima, esercitabile a insindacabile discrezione del recedente, è la clausola con la quale una delle parti contraenti un mutuo può in qualsiasi momento far cessare la vigenza del contratto: se il recesso è esercitato dalla banca, essa può chiedere al cliente l’immediato rientro del finanziamento; se il recesso è esercitato dal soggetto finanziato, egli può in ogni momento restituire il capitale mutuato e gli interessi dovuti.
Nel caso di contratto contenente la clausola di recesso ad nutum, la giurisprudenza (Cassazione n. 4792/2002) e la prassi (risoluzione n. 3/2001/T) sono consolidate nel senso di ritenere il finanziamento a medio-lungo termine meritevole dell’imposta sostitutiva se si tratta di un recesso consentito al mutuatario.
Invece, l’imposta sostitutiva non si renderebbe applicabile se il recesso ad nutum sia consentito alla banca mutuante, in quanto tale facoltà toglierebbe al contratto di finanziamento la possibilità di essere considerato a medio-lungo termine (e cioè di durata superiore a 18 mesi), che è la caratteristica basilare per l’applicabilità al mutuo.
Viceversa, nel caso di mutuo contenente una clausola di recesso per giustificato motivo, la prassi appariva pacificamente consolidata nel senso di ritenerla non ostativa all’applicazione dell’imposta sostitutiva; in tal senso, ci sono almeno tre atti univoci e mai smentiti: le risoluzioni n. 68/1998/T e 1/2003/T, la circolare n. 8/2002.
Spesso, tra l’altro, la clausola di recesso per giustificato motivo riproduce meramente l’articolo 1186 del codice civile, consentendo al creditore di «chiamare al rientro» il debitore qualora divenga insolvente o non presti le garanzie promesse o diminuisca, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato. E proprio il fatto che sia la legge stessa a concedere al creditore la possibilità di recedere da un contratto di finanziamento, nei casi previsti dall’articolo 1186 del codice civile, era l’argomento cardine che fino alla sentenza n. 2188/2015 ha supportato l’applicabilità dell’imposta sostittiva al mutuo contenente una clausola di recesso non meramente discrezionale.
Cosa succede ora ? C’è solo da sperare che in Cassazione si sia fatta confusione tra le clausole di recesso ad nutum e quelle non meramente discrezionali (come dimostrerebbe il fatto che in almeno due dei tre precedenti che la sentenza n. 2188/2015 cita a suo supporto ci siano riferimenti a casi di recesso ad nutum).
Diversamente, sarebbe un altro episodio, dopo la sentenza n. 695/2015, nel quale la Cassazione impone al creditore (il Fisco) di incassare crediti che lo stesso ritiene di non avere. Con buona pace delle imprese (specialmente straniere), che auspicano la prevedibilità dei costi fiscali per pianificare correttamente i propri investimenti.