11.10.2012

Moody’s declassa Fiat: “Ce lo aspettavamo”

  • La Repubblica

Moody’s declassa il rating di Fiat spa, da Ba3 a Ba2 con un outlook negativo. Ma Sergio Marchionne non è né stupito né indignato: «Lo sapevamo, lo avevamo previsto, avevamo discusso con Moody’s varie volte. E’ una valutazione comprensibile visto lo stato del mercato in Italia e in Europa », spiega a Bruxelles a margine di una tavola rotonda dell’Acea, l’associazione europea di costruttori di auto, di cui è presidente.
La decisione dell’agenzia di rating (che ha declassato anche Peugeot) è arrivata ieri mattina. Il declassamento riguarda anche le controllate del gruppo: Fiat Finance & Trade e Fiat Finance North America da Ba3 a B1. Le prospettive sono negative: «Se il cash flow proveniente da attività industriali stand alone dovesse superare il dato negativo di 2 miliardi di euro nell’anno corrente, senza indicazioni di un miglioramento nel 2013», scrive Moody’s, arriverebbe un ulteriore downgrading.
Secondo Marchionne, la valutazione riguarda essenzialmente gli andamenti di cassa del gruppo, penalizzati dalla crisi del mercato europeo. «È una decisione che non ha nulla a che vedere con l’assenza di nuovi modelli. Ci mancherebbe altro che ci facessimo dettare le strategie industriali dalle agenzie di rating. Quello che interessa a loro è la cassa. Se distruggessimo la cassa saremo molto più infelici anche con nuovi modelli». Comunque ha insistito sul fatto che «se guardiamo alla Fiat nel suo insieme, il gruppo sta bene». In realtà l’agenzia di rating ha specificato che «il ritardo nel rinnovo dei modelli e l’assenza del lancio di un nuovo modello dai grandi volumi di vendite può far deragliare la competitività di Fiat».
Ma a portare a Bruxelles l’amministratore delegato della casa automobilistica sono preoccupazioni di altro genere. Marchionne, a nome dell’Acea, chiede che la Commissione vari un piano europeo per governare la ristrutturazione del settore automobilistico, affetto da un eccesso di produzione che oggi, spiega, è di circa tre milioni di auto all’anno. «Non chiediamo soldi o aiuti. L’industria è in grado di finanziare l’aggiustamento con i propri mezzi. Alla Ue chiediamo decisioni che riguardano innanzitutto le politiche commerciali». Due sono i motivi di preoccupazione dell’ad Fiat. Il primo è che, in mancanza di un piano coordinato a livello europeo, alcuni stati membri comincino a prendere misure di protezione dei propri produttori di automobili. «Se, per esempio, il governo francese dovesse intervenire per aiutare una sua casa automobilistica,
o si fa la stessa cosa anche negli altri paesi o altrimenti si mette a rischio il mercato interno ». La corsa al protezionismo nazionale, insomma, è un pericolo reale «che rischiamo di pagare tutti sulla nostra pelle». Ed è una prospettiva che preoccupa in particolar modo Fiat: «Sto cercando di non finire mangiato come una mortadella tra due fette di pane», spiega in un momento di pausa dei lavori del convegno. La seconda preoccupazione dei costruttori europei di auto sono gli accordi di liberalizzazione degli scambi che la Commissione ha già firmato con la Corea e che si accinge a firmare con il Giappone. «L’Europa — dice Marchionne — deve smetterla di firmare accordi di libero scambio. Questo non è proprio il momento di abbracciare il libero scambio. Non prima che l’industria europea abbia avuto modo di ristrutturarsi».