30.06.2014

Mini bond, cresce l’interesse delle piccole e medie imprese

  • Italia Oggi

Prende forma l’impianto normativo per far decollare defintivamente i minibond. Con il varo del decreto interministeriale emanato dal Mise di concerto con il Mef, di attuazione dell’articolo 12, comma 6-bis, del decreto-legge n. 145/2013 (cosiddetto destinazione Italia), (si veda ItaliaOggi del 19 giugno scorso) le pmi potranno emettere minibond garantiti dallo stato attraverso il fondo centrale Pmi gestito dalo Sviluppo economico.

I minibond potranno avere una durata compresa tra i 36 e i 120 mesi e la garanzia del fondo potrà essere pari al 50% dell’ammontare dell’operazione sottostante, nel caso sia previsto un rimborso a rate.

Ma la necessità di ricorrerere a capitali freschi ha fatto sì che in questi mesi le aziende interessate si fossero già mosse avvalendosi della consulenza degli studi legali d’affari. Come nel caso di Orrick, che peraltro è stato il primo a lanciare un che ha assistito Aletti Sgr e Unicasim nella creazione di un fondo alternativo chiuso riservato a investitori professionli e distribuzione di proventi che investe in minibond (obbligazioni, titoli di debito e cambiali finanziarie) emessi da pmi italiane. Uno strumento per il funding della piccola e media impresa introdotto dal Governo Monti col Decreto Sviluppo quale alternativa all’accesso al sistema bancario. Tecnicamente, i Minibond sono obbligazioni a medio termine, emesse da società anche non quotate in relazione a piani di sviluppo, M&A e refinancing e destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali. «La partenza del mercato dei mini-bond, nonostante l’apertura da parte di Borsa Italiana del nuovo segmento professionale del mercato ExtraMOT (ExtraMOT PRO) dedicato alla quotazione, anche, di obbligazioni, è stata timida», dice Mia Rinetti, partner di Pavia e Ansaldo /Dipartimento Corporate. «Secondo i dati uno studio “I mini-bond – Istruzioni per l’uso” pubblicato dalla Camera di Commercio di Milano, sull’ExtraMOT PRO si sono avute meno di 20 emissioni di cui solo 8 di taglio inferiore ai 50 milioni di euro e con rendimenti dal 7% al 9%, eccessivamente elevati da sostenere per le Pmi.

Il modesto esordio dei mini-bond è attribuito anche alla scarsa liquidità del mercato e di conseguenza alla bassa appetibilità per gli investitori in mancanza di fondi dedicati».

Secondo Ottaviano Sanseverino, partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners, il mercato ha un buon potenziale data la difficoltà crescente delle imprese a finanziarsi attraverso il canale bancario. «Le emissioni fino ad oggi sono state poche, ma stanno crescendo rapidamente. Il numero di obbligazioni quotate su ExtraMot è in aumento. Stanno nascendo investitori specializzati in fondi dedicati all’acquisto di questi strumenti. Il nostro studio ha assistito due fondi nella loro costituzione e sta lavorando attualmente ai primi investimenti».

Il trattamento fiscale di questi strumenti è su un piano di sostanziale equivalenza rispetto ai mutui bancari a lungo termine, anche sotto il profilo delle garanzie reali al servizio del debito. «È necessaria una valutazione attenta per poter definire la disciplina di volta in volta applicabile.

Inoltre, resta da sviluppare la contrattualistica standard per assicurare che i costi transattivi per ciascuna emissione siano i più bassi e permettano la veloce conclusione delle operazioni». Secondo Claudio Di Falco, counsel di Cleary Gottlieb, «l’auspicio è che nel 2014 il mercato delle emissioni di minibond possa svilupparsi. Sono stati rimossi i principali ostacoli all’accesso al mercato obbligazionario da parte di società non quotate e sono state introdotte efficaci riforme in materia fiscale e di garanzie, che favoriscono tale accesso. Il fatto che il numero di emissioni sia ancora ridotto è dovuto probabilmente alla novità dello strumento ma anche al fatto che la platea dei potenziali emittenti è costituita in buona parte da società di una dimensione, in termini di fatturato e patrimoniali, tale da rendere difficile emettere obbligazioni di un taglio sufficiente a raggiungere livelli, pur minimi, di liquidità. Per questo sono particolarmente importanti le misure del recente Decreto Destinazione Italia che favoriscono la costituzione di fondi che aggreghino le obbligazioni di emittenti, che da soli non riuscirebbero ad arrivare sul mercato, nonché quelle mirate a favorire l’investimento in questi strumenti da parte di particolari investitori istituzionali».

Marcello Magro, partner del dipartimento di capital markets di Pedersoli e Associati sottolinea che «la sfida maggiore è quella di rendere compatibili la dimensione limitata delle operazioni – conseguenza diretta delle dimensioni degli emittenti – con la disponibilità del mercato degli investitori ad approcciare tali emissioni e con i costi di strutturazione. Mi pare che il mercato possa avere buone possibilità di sviluppo, anche tenuto conto dei benefici derivanti dalla standardizzazione delle operazioni – e dalle maggiori certezze giuridiche e fiscali conseguenti alla progressiva diffusione dello strumento nonché della minore ritrosia degli imprenditori ad aprirsi al mercato». L’ultima operazione seguita dallo studio è stata l’emissione di un bond da 12 milioni da parte di Gpi (società trentina a capo di un gruppo attivo nel settore dell’It per la sanità) che ha visto, forse per la prima volta in Italia, l’acquisto da parte di un fondo di private equity di una posizione sia in equity che in obbligazioni quotate su ExtraMOT PRO di Borsa Italiana.

Una distinzione tra tipologie di mini bond può essere utile ad analizzare meglio il fenomeno. «Le emissioni di piccolo taglio – tra 5 e 10 milioni di euro sono state inferiori alle attese e non ci aspettiamo una sostanziale variazione nel loro impiego nei prossimi mesi», spiega Dario Longo, partner di Linklaters. «Altra tipologia è quella degli high-yield: si tratta di un segmento d’avanguardia per l’Italia che prevediamo in forte crescita, anche perché attualmente caratterizzato dalla disponibilità di pochi operatori specializzati sul mercato». Lo studio ha seguito almeno il 50% delle emissioni high-yield italiane nel 2013 fra cui Sisal, Marcolin, Salini, Rhiag e Teamsystem. «Nel contesto di un’operazione di emissione le maggiori problematicità sono connesse alla strutturazione del security package a garanzia dell’emissione, nonché alla negoziazione dei covenants a carico dell’emittente e delle ipotesi di default del prestito. Sebbene le principali problematiche connesse all’utilizzo dei mini bond non siano tanto di natura giuridica, quanto legate principalmente alla scarsa maturazione del mercato degli investitori nazionali. È anche vero che proprio il 2014 potrebbe essere l’anno in cui nuovi investitori nazionali inizieranno ad operare a pieno regime, dando maggiore impulso al sistema dei mini bond», chiosa Carmine Oncia, partner di Grimaldi Studio Legale. Il problema non è tanto di forma, quanto di sostanza: i modelli contrattuali recepiscono infatti l’esperienza relativa alle emissioni ordinarie. Occorre vincere la diffidenza degli investitori verso il nuovo strumento: la stesura di testi negoziali il più possibile improntati alla trasparenza potrebbe essere un atout non indifferente.

«La tiepida risposta in Italia all’arrivo di un valido strumento come i MiniBond dipende sia da ragioni di tipo culturale-imprenditoriale che da eventi finanziari recenti che hanno scottato il potenziale investitore che oggi richiede più che mai una ‘trasparente semplificazione’ che assicuri la veridicità», spiega Nunzio Bevilacqua direttore della Rivista Giuridica Notarilia. «Se vi sono buone prospettive quanto all’assetto contrattuale e per il trattamento fiscale, il successo concreto dipenderà dall’avvio di una maggiore patrimonializzazione delle nostre Pmi, dalla persistenza o meno di una situazione di credit crunch, dalla considerazione come strumento di finanziamento per le imprese, alternativo al credito bancario, in tempo di crisi ma anche aggiuntivo in fase di ripresa economica».

«Le procedure di emissione e informazione presso il pubblico sono estremamente semplificate rispetto a quelle previste per le emissioni “ordinarie” e si aggiungono a significative agevolazioni di carattere fiscale. In questo senso, nel recentissimo d.l. 145/2013 Destinazione Italia, il legislatore ha proseguito nella strada della tendenziale equiparazione della disciplina tra pmi quotate e non quotate, queste ultime le più colpite dal c.d. credit crunch scaturito dalla crisi», spiega Leonardo Gregoroni, senior associate dello studio Ghidini, Girino e Associati. «L’investitore ha bisogno di sicurezza. Le pmi interessate dovranno concentrare i propri sforzi nella trasparenza dei bilanci e dell’informazione presso il pubblico, se necessario oltre i requisiti di legge, e rafforzare la base patrimoniale dell’azienda».

Infine secondo Stefano Padovani, partner di Nctm Studio Legale Associato «il processo implica la soluzione di tematiche giuridiche che attengono al diritto societario, a quello del mercato dei capitali, al diritto tributario e alla disciplina degli intermediari finanziari. Si tratta peraltro di una disciplina recente. Tra queste modifiche quelle che estendono l’ambito di applicazione della l. 130/99 anche alle operazioni aventi ad oggetto obbligazioni e titoli similari sottoscritti dalle società veicoli, l’estensione del regime di imposta sostitutiva anche alle garanzie prestate in relazione a operazioni di finanziamento strutturate».