Theresa May è sopravvissuta al voto di fiducia. I parlamentari britannici ieri sera hanno respinto la mozione di sfiducia presentata dall’opposizione laburista – la prima da 24 anni – e hanno sostenuto il Governo con 325 voti a favore e 306 contro, un margine di 19 voti.
I deputati conservatori, che 24 ore prima avevano contribuito a infliggere la peggiore sconfitta nella storia del Parlamento britannico, questa volta hanno votato compatti a favore del Governo per evitare la possibilità di elezioni anticipate e di una possibile vittoria laburista. Anche gli oltranzisti del Dup nordirlandese, che martedì avevano votato contro l’accordo su Brexit della May, ieri hanno sostenuto la premier.
Aperto e chiuso rapidamente questo capitolo, i riflettori tornano a puntarsi sul problema principale: due anni e mezzo dopo il referendum sull’uscita dall’Unione Europea e a poche settimane dalla data ufficiale di Brexit, non è ancora chiaro come, quando e se la Gran Bretagna lascerà la Ue.
La May ha fatto sapere ieri che, nonostante la bocciatura per 432 voti contro 202, non intende abbandonare l’accordo concordato con la Ue e non intende chiedere un rinvio dell’uscita oltre la data prevista del 29 marzo.
Il Governo ha tempo fino a lunedì per presentare un piano alternativo al Parlamento. Nei prossimi giorni la May intende avviare colloqui con i leader dei maggiori partiti per cercare di trovare un compromesso accettabile, ma la strada sembra tutta in salita, data la sua scarsa disponibilità a trattare e il no deciso di Bruxelles a ulteriori concessioni.
Il leader laburista Jeremy Corbyn ieri ha invitato il “Governo zombie” a dimettersi dopo la bocciatura dell’accordo su Brexit, che ha definito «una sconfitta storica e umiliante». La May ha risposto che le elezioni anticipate favorite dall’opposizione «non sono nell’interesse del Paese e porterebbero il caos mentre abbiamo bisogno di certezze».
Le certezze mancano. «Sosterremo un accordo che riunisce il Paese, tutela i posti di lavoro e sostiene l’economia», ha detto ieri il cancelliere-ombra John McDonnell. Il partito laburista chiede che la Gran Bretagna resti in un’unione doganale permanente con la Ue, abbia stretti legami con il mercato unico e mantenga gli stessi livelli di tutela dei lavoratori e dell’ambiente. Finora la May si è detta disponibile a trattare solo sull’ultimo punto.
Se non ci saranno concessioni di sostanza da parte della premier, la strategia del partito laburista è di continuare a indire voti di fiducia, secondo quanto dichiarato ieri da Barry Gardiner, ministro del Commercio-ombra, nella convinzione che prima o poi abbastanza deputati conservatori delusi voteranno contro – il Governo non ha una maggioranza in Parlamento, quindi basterebbero poche defezioni per alterare gli equilibri.
Questa strategia è in sintonia con la linea di Corbyn di puntare tutto sulle elezioni, ma il partito è spaccato e oltre 70 deputati hanno detto ieri che vorrebbero che il leader si schierasse in modo netto a favore di un secondo referendum.
Altrettanto diviso il partito conservatore, tra i pochi che sostengono la linea May, il drappello di oltranzisti che vuole un “no deal”, l’uscita dalla Ue senza accordo, una parte che sostiene l’opzione Efta o Norvegia Plus e alcuni ribelli favorevoli a un secondo referendum. Perfino Nigel Farage, fondatore di Ukip e primo sostenitore di Brexit, ieri ha dichiarato di temere che ormai un rinvio dell’uscita e un secondo referendum siano inevitabili.
Se il piano B che la May presenterà lunedì non sbloccherà l’impasse, molti chiederanno che la palla passi al Parlamento, cioè che sia concesso ai deputati votare le varie opzioni sul tavolo – da “no deal” a Efta a secondo referendum – per verificare se esiste una maggioranza a Westminster per una soluzione concreta. Fino ad allora, come ha sottolineato la May, «sappiamo cosa il Parlamento non vuole, ma non sappiamo cosa vuole».
Nicol Degli Innocenti