Sono bastati pochi minuti ieri in Borsa per rastrellare quei pochi diritti rimasti inoptati — 1,4 milioni circa di pezzi per un controvalore di 15 milioni di euro — per chiudere definitivamente l’aumento di capitale di Unicredit da complessivi 13 miliardi di euro. Sul mercato era un risultato pressoché scontato: si trattava in sostanza di frazioni di capitale che per motivi tecnici non era stato possibile presentare all’aumento. Adesso i diritti inoptati dovranno essere esercitati, a pena di decadenza, entro il 2 marzo. La sostanza del risultato ottenuto lo scorso giovedì in ogni caso non cambia: la fase di offerta in opzione ai soci della maxi ricapitalizzazione — la maggiore mai varata da una banca italiana — si era conclusa con un’adesione del 99,8% per 12,96 miliardi di euro di controvalore. Post-aumento i coefficienti patrimoniali di Unicredit — scesi temporaneamente attorno all’8% dopo 12,2 miliardi di rettifiche legate alla cessione di 17,7 miliardi di euro di crediti in sofferenza — torneranno a livelli adeguati per una banca sistemica: saranno da subito pari all’11,15% (come indice Cet1) per arrivare al 12% contando anche le cessioni di Pioneer e Bank Pekao. L’obiettivo del ceo Jean Pierre Mustier, è di un Cet1 superiore al 12,5% al 2019. Ieri la Borsa ha premiato Unicredit con un rialzo del 2,47% a 12,46 euro. Intanto continuano a venire allo scoperto i soci, in particolare le Fondazioni che hanno subìto un arretramento nel capitale. La Fondazione Manodori ha reso noto ieri di avere seguito solo parzialmente l’aumento, diluendosi dallo 0,32% allo 0,18% (4 milioni di titoli). L’ente in una nota ha sottolineato di rispettare il protocollo Acri -Tesoro secondo cui l’investimento delle fondazioni in un solo titolo deve essere inferiore ad un terzo del patrimonio dell’ente.
Fabrizio Massaro