Poco prima di lui, un’opinione simile l’hanno sostenuta, sempre dall’America, Warren Buffett — il cosiddetto «Saggio di Omaha» per la sua immensa abilità di investitore — e il finanziere George Soros. Per non dire degli economisti tedeschi, in testa Hans-Werner Sinn, che consigliano ad Atene di abbandonare l’euro per rimettersi in sesto.
Anche il politico più potente di Germania dopo Angela Merkel, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, non solo ha detto di non aspettarsi risultati nei negoziati tra governo ellenico e partner europei negli incontri previsti la settimana prossima: ha sostenuto che tutte le ipotesi riguardanti la Grecia sono già più o meno considerate dai mercati, che cioè anche le onde di una Grexit sarebbero gestibili.
Le stesse indiscrezioni del settimanale tedesco Die Zeit , secondo il quale il governo Merkel starebbe preparando un piano per cercare di gestire il caso ellenico anche se Atene facesse default sul pagamento di una rata di debito, sono il segno più di una presa d’atto della gravità della situazione che non di una soluzione stabile; o forse, addirittura, il posizionamento per evitare che Berlino venga accusata di non avere fatto il possibile per evitare la Grexit (che comunque Merkel tutt’ora non vuole e che dunque subirebbe).
Alcune dichiarazioni possono essere tattiche in vista del prossimo giro di negoziati tra ministri delle Finanze dell’eurozona: per il 24 aprile è programmata una riunione in teoria importante (ma forse no). Di base, però, in molti governi europei — quello tedesco ma anche quelli olandese, spagnolo, portoghese, irlandese, slovacco — sta crescendo la convinzione che fare concessioni significative al governo di sinistra di Atene sarebbe tossico, nel senso che non solo darebbe forza a movimenti simili in altri Paesi ma anche stravolgerebbe e minerebbe le basi politico-economiche sulle quali sono stati costruiti cinque anni di interventi per affrontare la crisi dell’eurozona. In più, sta affermandosi un’idea nuova, riassunta in una lettera del presidente dell’Istituto Bruno Leoni, Franco Debenedetti, al Financial Times due giorni fa: «Se avviene per ragioni di democrazia, non c’è motivo che l’uscita dall’euro della Grecia segni la fine dell’euro e dell’Europa. Si potrebbe persino sostenere il contrario, e cioè che il non accettare la scelta democratica di un Paese sia la fine di quello che l’Europa dichiara di essere».