19.01.2012

L’Unicredit e il Quirinale «Le fondazioni azioniste rimangono strategiche»

  • Il Corriere della Sera

di Fabrizio Massaro

MILANO — «Le fondazioni manterranno il ruolo fondamentale che hanno sempre avuto» in Unicredit. Le parole dell'amministratore delegato di Piazza Cordusio, Federico Ghizzoni, tendono a sciogliere i dubbi su un potenziale spostamento degli equilibri nella banca: «Non credo che questo avverrà», ha tagliato corto. La dichiarazione è arrivata ieri dopo che il fondo di Abu Dhabi, Aabar, ha annunciato che salirà al 6,5% dall'attuale 4,9% alla fine dell'aumento di capitale da 7,5 miliardi, diventando così il primo azionista dell'istituto.
La stessa risposta Ghizzoni l'avrebbe data due giorni fa al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un colloquio al Quirinale cui ha partecipato il vicepresidente della banca Fabrizio Palenzona, uomo forte del mondo delle fondazioni ed esponente della Crt (che dovrebbe diventare il primo azionista italiano della banca con il 4,2%). Secondo diverse fonti il capo dello Stato, fra le altre cose, avrebbe mostrato preoccupazione per l'ondata speculativa che si è abbattuta sul titolo e avrebbe chiesto lumi sulla stabilità complessiva dell'istituto. Ghizzoni e Palenzona avrebbero rassicurato il presidente sotto questo aspetto, sottolineando che l'istituto resterà con la testa e il controllo in Italia, e che l'aumento di capitale «andrà bene», come ha detto ieri Ghizzoni.
I timori nascono dal fatto che alcune fondazioni maggiori come Cariverona o Carimonte si diluiranno (rispettivamente dal 4,2% al 3,5% e dal 3,2% al 2,9%), e così altre minori, come Banco di Sicilia o Manodori. Ma la compagine appare comunque stabile, considerando anche gli imprenditori italiani azionisti (Del Vecchio, Maramotti, Pesenti, Bertazzoni).
Una conferma in tal senso viene dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, grande elettore della Cariverona: «Tra libici e Abu Dhabi il mondo arabo esprimerà il 10%, visto il limite dei diritti di voto al 5%. Dunque non sono determinanti per la governance, anche se è normale che chi è socio importante possa chiedere rappresentanza nel consiglio» in occasione del rinnovo del board a maggio. «Le fondazioni saranno attorno al 12% e c'è comunque un cartello che comprende il mondo occidentale, tedeschi, americani. Dunque la situazione post aumento non dovrebbe cambiare: la testa resta italiana con un riferimento forte in Occidente». Era stato proprio Tosi, un anno e mezzo fa, ad alzare le barricate contro la crescita della Libia fino al 7,5%: «Ma allora c'era davvero il rischio di una scalata, mentre adesso mi pare che i soci italiani abbiano una buona intesa e che la governance sia trasparente». Un'apertura di credito piena verso Ghizzoni, insomma: «Io sottoscriverò le mie azioni, perché ci credo, a questi prezzi». Ieri il titolo, dopo il rally di inizio settimana, ha chiuso a 2,97 euro, -1,2%, e i diritti — negoziabili fino a domani — a 1,92 euro, -0,36%. Sul mercato c'è attesa per il possibile declassamento di Unicredit da parte di S&P in seguito alla bocciatura dell'Italia: ma «al momento non ci è stato comunicato nulla», ha detto Ghizzoni.