Tutela del diritto d’autore rafforzata anche alla prova delle nuove tecnologie. La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata ieri nella causa C-610/15 (Stichting Brein), amplia la portata degli obblighi dei fornitori di accesso a internet, tenuti a impedire la messa a disposizione di piattaforme di condivisione online che portano a utilizzare opere protette attraverso l’indicizzazione di metadati. Poco importa, infatti, che sono gli utenti a permettere l’accesso ad opere protette perché gli amministratori delle società che forniscono l’accesso al web sono consapevoli e, quindi, responsabili.
A chiamare in aiuto Lussemburgo è stata la Corte suprema dei Paesi Bassi che ha chiesto agli eurogiudici di interpretare alcune disposizioni della direttiva 2001/29 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, recepita in Italia con Dlgs n. 68/2003. Al centro della vicenda, una controversia tra una fondazione che protegge gli interessi dei titolari dei diritti d’autore e alcune società che forniscono l’accesso a internet. Attraverso una piattaforma di condivisione online, «The Pirate Bay», alcuni abbonati condividevano file utilizzando un software. Era creato, altresì, un “file torrent” che veniva poi indicizzato attraverso la piattaforma, portando gli utenti a scaricare opere protette dal diritto d’autore. Tutto in assenza di autorizzazione dei titolari del diritto che non avevano dato alcun consenso né agli amministratori delle società dei servizi, né agli utenti della piattaforma. Di conseguenza, la fondazione aveva chiesto di bloccare i nomi di dominio e gli indirizzi IP della piattaforma.
Prima di tutto, la Corte Ue ha tracciato i contorni dell’attuazione della direttiva 2001/29 che si applica nei casi di comunicazione al pubblico. Centrale nella vicenda è, infatti, la qualificazione dell’attività degli amministratori attraverso la piattaforma The Pirate Bay e, in particolare, se possa configurarsi una comunicazione al pubblico con la consequenziale applicazione dell’atto Ue.
Malgrado l’assenza di una definizione espressa nella direttiva, gli eurogiudici hanno stabilito che la messa a disposizione e la gestione di una piattaforma di condivisione che indicizza metadati relativi ad opere protette, permettendo la condivisione tra una rete di utenti (peer-to-peer), è da classificare come “comunicazione al pubblico”. Questo perché l’utente, “quando interviene con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento” per fornire ai clienti un accesso a un’opera protetta comunica con un numero indeterminato di destinatari potenziali e, quindi, con un pubblico. Non solo. Si tratta di un gruppo di persone che non è stato già considerato dai titolari del diritto d’autore e, quindi, di un pubblico nuovo verso il quale non vi è stata alcuna autorizzazione.
Poco importa, poi, che le opere tutelate non sono state messe a disposizione dagli amministratori della piattaforma ma da alcuni utenti, perché la piena consapevolezza degli amministratori e l’indicizzazione dei file torrent con rinvio ad opere protette comporta una loro responsabilità nella violazione del diritto d’autore. Tanto più che – osserva la Corte – “gran parte dei file torrent che compaiono sulla piattaforma di condivisione online rinvia ad opere pubblicate senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti”. Un ulteriore tassello è poi costituito dal fatto che gli amministratori hanno diffuso attraverso i blog la possibilità di accedere a opere protette e hanno tratto un profitto, tramite gli introiti pubblicitari, da piattaforme come “The Pirate Bay”.
Marina Castellaneta