27.06.2016

Londra «perde» lo sconto da 6 miliardi

  • Il Sole 24 Ore

Un assegno da 38,5 miliardi dal 2007 a oggi, con Francia e Italia che negli ultimi anni hanno pagato il conto più salato. È l’ammontare versato dagli altri 27 Paesi europei per finanziare lo sconto a Londra sul suo contributo al bilancio Ue. Lo mostrano le elaborazioni dell’Osservatorio Il Sole 24 Ore-Gruppo Clas sui dati della Commissione Ue. Uno sconto ad hoc, il cosiddetto «rebate», preteso nel lontano 1984 da Margaret Thatcher che da 31 anni a questa parte tutti gli altri Paesi devono versare.
«Se il negoziato di uscita della Gran Bretagna non potrà ignorare il tema dei fondi Ue – sottolinea Chiara Sumiraschi, economista di Gruppo Clas – almeno su questo fronte una nota positiva c’è, perché l’abbandono del club significherà anche la fine dello sconto».
Durante la campagna a favore della Brexit gli euroscettici d’Oltremanica hanno messo in luce lo status del loro Paese di contributore netto della Ue, che versa al bilancio comunitario più di quanto riceve. Questo è senz’altro vero, ma Londra, che ha un saldo negativo di circa 4,9 miliardi all’anno (38,9 miliardi dal 2007 a oggi) è in buona compagnia ed è solo al terzo posto in un gruppo composto da ben dieci Paesi, tra cui l’Italia. In testa c’è la Germania, che nel 2014 ha registrato un saldo negativo di 15,5 miliardi. Non solo: dal 2007 Berlino ha dato al bilancio Ue 81 miliardi in più di quello che ha ricevuto. Al secondo posto figura la Francia che ci ha “rimesso” 7,1 miliardi nel 2014 e complessivamente 48,5 miliardi dal 2007. Al quarto posto l’Olanda, mentre l’Italia è quinta nel 2014 (con un saldo di 4,5 miliardi), e ha registrato una differenza tra “dare e avere” di circa 35 miliardi dal 2007 a oggi. I maggiori beneficiari con il saldo netto più consistente sono invece Polonia, Ungheria e Grecia. Varsavia detiene il record, con un saldo positivo per 73,2 miliardi.
Quello che la campagna referendaria ha spesso omesso è che solo Londra, però, tra i contributori netti ha ottenuto lo sconto, che nel 2014 è stato di ben il 35% e ha ridotto il contributo versato alla Ue a 11,34 miliardi. Ogni anno l’ammontare del «rebate» è determinato con un calcolo complesso legato a numerose variabili. Ma nel corso dei negoziati sulla programmazione 2014-2020 altri quattro contributori netti – Germania, Olanda, Svezia e Austria – hanno ottenuto una clausola che consente loro di pagare un quarto del dovuto per compensare lo sconto britannico. In sostanza, si tratta di «uno sconto sullo sconto», come è stato subito ribattezzato. Così Italia e Francia hanno pagato circa la metà della cifra complessiva nel 2007-2013. L’Italia ha compensato lo sconto britannico con 1,16 miliardi nel 2014 e complessivamente 7,8 miliardi dal 2007 a oggi, mentre la Francia ha versato poco più di 10 miliardi negli ultimi otto anni.
Fin qui la fotografia del passato. Se l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue avverrà prima del 2020, renderà probabilmente necessaria anche la rinegoziazione del bilancio comunitario 2014-2020 e la riprogrammazione dei fondi strutturali per lo stesso periodo.
Come verrà coperto il probabile buco di bilancio lasciato in eredità dal contributo britannico? Il bilancio Ue verrà ridimensionato o aumenteranno le quote che gli altri Paesi dovranno destinare? «Al di là delle perdite economiche per i vari Paesi – conclude Sumiraschi -, dicendo addio alla Ue Londra dovrà rinunciare a fondi per l’innovazione, le imprese e l’agricoltura che difficilmente, in tempi di spending review, un governo nazionale riesce a finanziare. Al di là dei calcoli ragionieristici sul dare-avere, questa sarà la perdita maggiore».

Chiara Bussi