Stesso copione per il mercato obbligazionario. Se nella prima parte della seduta ha prevalso una generale avversione al rischio con il differenziale di rendimento tra Bund e BTp che ha toccato quota 135 punti, nel pomeriggio c’è stato un chiaro ridimensionamento delle tensioni con il differenziale sceso di circa 10 punti. La flessione dello spread italiano, così come di quello spagnolo, potrebbe far pensare a una ritrovata propensione al rischio e quindi di una fiducia dei mercati. Ma non si spiegherebbe allora perché i tassi dei titoli di Stato greci ieri non siano scesi. O perché buona parte dei listini azionari abbia faticato a prendere una direzione.
Dare una chiave di lettura unica alla performance dei mercati non è operazione semplice per la banale ragione che gli stessi operatori si sono trovati privi di spunti solidi per fare le proprie mosse. La crisi greca resta un rebus difficile da risolvere e la cacofonia di indiscrezioni e dichiarazioni ufficiali non aiuta a farsi un’idea precisa di quello che sarà l’esito della trattativa. I mercati hanno dovuto fare i conti con il pessimismo del falco tedesco Wolfgang Schäuble («Nessuno spiraglio, Atene ha fatto passi indietro nei negoziati») e con l’ottimismo del ministro delle finanze Ue Pierre Moscovici che invece ha espresso posizioni esattamente opposte: «L’accordo è a portata di mano e le riforme di Atene sono economicamente e finanziariamente solide». Forse l’unica notizia certa che è arrivata da Bruxelles è che le negoziazioni rischiano di andare ai tempi supplementari. Ad un nuovo Eurogruppo fissato per sabato mattina che rischia di protrarsi fino al giorno successivo.
Nel frattempo analisti e addetti ai lavori fanno i conti con il mutato scenario. «Tsipras rischia una rivolta all’interno del suo partito per aver dato troppo terreno mentre le azioni della Bce sono messe in discussione da Paesi come l’Irlanda, che si è scontrata con una Bce più aggressiva nel 2010. I mercati sono vulnerabili a un ulteriore attacco di volatilità nei prossimi giorni» sostiene Dan Loughney, Portfolio Manager di AB-AllianceBernstein. Vede un accordo vicino invece Joachim Fels, global economic adviser del fondo Pimco, che però avverte: «Senza una ristrutturazione del debito non si va da nessuna parte».