12.11.2014

Lo spread scende sotto quota 150

  • Il Sole 24 Ore
Una mattina da leoni, un pomeriggio da gazzelle. Le Borse europee faticano in questa fase dell’anno a prendere una direzione netta; così, giornate come quella di ieri – schizofreniche – potrebbero non essere rare da qui a San Silvestro. Resta il fatto che il sentiment è un po’ migliorato rispetto a qualche settimana fa. Come dimostrato dal calo dello spread tra BTp e Bund a 10 anni, scivolato sotto i 150 punti (come non accadeva dal 14 ottobre, il rendimento dei BTp è sceso di due punti al 2,32%). E come dimostra lo scatto del Nikkei a Tokyo (+2%) ai massimi da novembre 2007.
È chiaro che a questo punto – dopo anni di sbornie e rialzi – i mercati per proseguire nella fase di “appetito al rischio” hanno bisogno ancora di qualcosa di forte. E, osservando tra i bilanci delle grandi banche centrali, l’unica che potrebbe aumentare in modo considerevole la base monetaria è la Banca centrale europea (per la semplice ragione che è l’unica che la ha drenata dal 2012). Agli investitori sono piaciute in particolare le dichiarazioni di Yves Mersch, rappresentante del Lussemburgo all’interno del comitato esecutivo della Banca centrale, che ha detto che l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce è «teoricamente possibile». Lo stesso ha ribadito che al momento nessuna decisione è stata presa ma se la situazione dovesse peggiorare, potrebbe diventare un’opzione. I mercati sono concentrati su questo punto, e non tanto sull’acquisto di titoli Abs (Asset backed securities, titoli cartolarizzati) che la Bce dovrebbe avviare la prossima settimana (dopo aver lanciato a ottobre l’acquisto di covered bond). Parole che hanno messo il turbo nella prima parte della giornata alle Borse (il Ftse Mib di Piazza Affari ha toccato un massimo intraday a +1,4%). A questo punto i mercati aspettano paradossalmente una buona dose di “economia negativa” per proseguire nei rialzi. I commenti del governatore Mario Draghi della scorsa settimana – secondo cui la Bce starebbe aspettando un peggioramento del quadro macro per poter intervenire con ulteriori misure di espansione monetaria – confermano questa inclinazione. Sorvegliati speciali in settimana il dato sull’inflazione di ottobre e le indicazioni sul Pil del terzo trimestre dell’Eurozona.
In chiusura di giornata i listini hanno però ridotto i guadagni. L’Eurostoxx 50 è salito dello 0,32% e Piazza Affari penalizzata dai conti di UniCredit (-3,3%) che hanno evidenziato ricavi inferiori alle attese – ha chiuso praticamente invariata (-0,02%). Ha pesato l’andamento debole di Wall Street – che tuttavia nel corso della seduta ha riaggiornato il massimo storico – in una giornata a scambi ridotti per via del clima semi-festivo (Veteran’s Day). Il clima di incertezza è stato acuito dalle parole del governatore della Federal Reserve di Philadelphia Charles Plosser, uno dei “falchi” della politica monetaria americana: «Molti indicatori ci dicono che il costo del denaro è troppo basso. Non ci sono precedenti storici di tassi a zero. Ci stiamo comportando in un modo al di fuori della norma storica e che dovrebbe innervosirci». Decisamente elastico l’andamento delle valute: il dollaro ha toccato un nuovo massimo da sette anni nei confronti dello yen, in scia alle indiscrezioni di un probabile rinvio da parte del governo del previsto aumento dell’Iva. Il biglietto verde si è mantenuto sostenuto anche sull’euro (sotto 1,25 dollari). La forza del dollaro ha contribuito al nuovo calo, sui minimi da quattro anni, del petrolio. Fattore da non trascurare perché potrebbe continuare a esportare “disinflazione” in giro per il mondo.