Si ferma qualche minuto davanti alle telecamere, non attende le domande e si fa beffa senza giri di parole della trattativa in corso con la Ue, della lettera inviata al governo italiano, del fatto che in realtà «la lettera è stata anticipata qui», come a dire che a Bruxelles c’è stato chi ha giocato con i media, sul destino e l’immagine dell’Italia, ben prima che la Commissione chiedesse chiarimenti sulla manovra in modo ufficiale. Insomma una vicenda strumentalizzata, a danno del nostro Paese, e ora è il momento di dirlo.
II tono del premier è irridente, Barroso è in uscita, dopo dieci anni, lui lo sottolinea, «dalla settimana prossima non sarà più presidente»: se qualcuno vuole lo scontro che scontro che sia. Altro che lettera all’Italia, «credo che sia il momento della open transparency più totale, d’ora in poi vogliamo che in questo Palazzo sia tutto chiaro, ci sia la chiarezza più ampia, non solo la lettera, pubblicheremo tutti i dati economici, quanto si spende in questi palazzo, chiederemo a Juncker che tutto venga pubblicato, ogni dato sensibile delle istituzioni europee». Nel discorso che ha preparato c’è la difesa a spada tratta della manovra appena varata, insieme al sarcasmo per le correzioni richieste dalla Ue. Entrambe le cose sono importanti da comunicare «ai cittadini italiani»: a loro dice «di non preoccuparsi, abbiamo fatto una grande operazione di riduzione delle tasse e siccome tante volte dall’Ue ci hanno chiesto di ridurre le tasse, ora che l’abbiamo fatto non sarà certo una piccola discussione sui decimali e le virgole a bloccare il percorso di cambiamento del nostro Paese». E visto che si discute di «2 miliardi di differenza, visto che l’Italia ha un bilancio di 800 miliardi, li possiamo mettere anche domattina».
Insomma più che una lettera, una letterina, ordinaria amministrazione, come aveva detto il giorno prima in Parlamento, tanto rumore per nulla. Se la Ue ci chiede «un piccolissmo sforzo» in più «non ci sono grandi problemi». In realtà la correzione che ci sta chiedendo la Ue è più alta di due miliardi, ma il passaggio del premier sui contenuti della lettera è molto veloce.
Semmai il presidente del Consiglio ha voglia di capire perché si fa tanta fatica a riconoscere all’Italia la flessibilità che è prevista nei Trattati, quei riferimenti alle circostanze negative del ciclo economico che possono far deviare, almeno momentaneamente, da un percorso di risanamento: «Quello che è in discussione, e sarà interessante approfondirlo, è chi decide quali sono le valutazioni politiche sulle circostanze eccezionali di cui parlano i trattati». La domanda per Renzi si porta dietro una risposta naturale, anche se non detta: decide il Consiglio, dei capi di governo, non certo la Commissione.