Sabato scorso era stato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a dire che sulla crescita «possiamo ragionevolmente aspettarci qualcosa in più». E nei giorni precedenti era stata l’Istat a ritoccare l’andamento dei primi due trimestri 2015, arrivando alla conclusione che l’obiettivo dello 0,7% potrebbe essere centrato già alla fine di settembre. Con tre mesi ancora a disposizione, non dovrebbe essere così difficile andare oltre. Anche se è vero che il rallentamento dell’economia mondiale, dopo la crisi cinese, non lascia immaginare un finale d’anno particolarmente scoppiettante.
«I numeri di questi giorni – dice il viceministro dell’Economia, Enrico Morando – dimostrano come le previsioni che avevamo fatto nei mesi scorsi erano non attendibili ma super attendibili. Per questo considero molto probabile che si vada oltre le soglie già fissate». Ieri proprio il ministero dell’Economia ha diffuso nuovi dati sull’entrate fiscali che, nei primi sette mesi dell’anno, hanno registrato un aumento dello 0,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un andamento che diventa ancora più positivo (+1,3%) se si considera che nel 2014 c’era stata un’entrata un tantum, e cioè l’extra gettito legato alla rivalutazione delle quote di Bankitalia.
La revisione al rialzo delle previsioni, non sarebbe solo un segnale «politico» e di fiducia. Ma avrebbe delle ricadute immediate e concrete sulle scelta di politica economica del governo. Una crescita più marcata migliorerebbe i saldi di finanza pubblica, alleggerirebbe il rapporto deficit-Pil, rafforzando indirettamente la dote che il governo punta a ottenere da Bruxelles in termini di flessibilità. E potrebbe spingere a un’inversione di tendenza anche nel rapporto fra debito e Pil, con il percorso di rientro che non sarebbe più un miraggio. Ma, soprattutto, darebbe al governo più risorse per finanziare tutti gli interventi annunciati in vista della legge di Stabilità.