Come e se questo si tradurrà nei prossimi documenti o nelle prossime conclusioni dei Consigli, è ancora materia di discussione diplomatica e politica, ma di sicuro è questo uno dei primi interessi italiani: sfruttare gli elementi di flessibilità che pure sono contenuti nel trattato, sul finanziamento delle riforme strutturali e sulle ricadute sul debito. «Quello che chiediamo e su cui abbiamo coagulato un consenso ampio — riassume Sandro Gozi — non sono regole diverse, ma una svolta politica nell’agenda della Ue: smetterla di farne una cosa di soli bilanci, programmare politiche di crescita e di investimenti comuni e trattare in modo diverso chi investe sulla crescita».
Le aperture della Merkel al concetto di flessibilità, pur all’interno delle regole vigenti, sembrano andare in questa direzione. Nel quadro programmatico che Renzi e i socialisti europei puntano a definire per il futuro dell’Unione c’è proprio questo tipo di scambio: permettere ai Paesi che ne hanno bisogno di fare le riforme strutturali senza il fiato sul collo del Fiscal Compact e degli altri Trattati. Anche per discutere di questi punti ieri Renzi è salito al Colle, anticipando a Napolitano gli argomenti e i temi che stasera, nel vertice di Ypres, verranno trattati. Nella città belga che seppellì più morti di tutte le altre città del Belgio nelle battaglie contro i tedeschi della Prima guerra mondiale, stasera il nostro premier cercherà di chiudere non solo sul pacchetto di nomine, ma anche sugli obiettivi che ieri una nota del Quirinale teneva a rimarcare: ovvero «le prospettive che oggi si presentano per un mandato di forte rinnovamento delle politiche dell’Unione Europea, su cui si impegni il candidato presidente della Commissione».
Ieri Renzi ha anche ricevuto una telefonata del presidente americano Barak Obama: scambio di impressioni soprattutto sull’Ucraina, condoglianze ironiche della Casa Bianca sull’uscita dell’Italia dai mondiali brasiliani, riconoscimento delle «ambiziose riforme strutturali» messe in campo dal nostro Paese, «uno dei pilastri» della Ue.
Marco Galluzzo