16.07.2015

L’intervento con il salva-Stati non pesa per ora sui conti italiani

  • Il Sole 24 Ore
Il prestito-ponte erogato alla Grecia dall’Efsm, un fondo salva-Stati garantito dal budget europeo, non aumenterà il debito pubblico dell’Italia. E il terzo programma di aiuti alla Grecia tramite l’Esm, se dovesse essere finalizzato con un finanziamento da parte del meccanismo europeo di stabilità pari a 50 miliardi o anche più, non farà lievitare il debito pubblico italiano. L’Italia, cioè, non deve emettere BTp in questi giorni o nelle prossime settimane per aiutare la Grecia. Sostenere finanziariamente la Grecia, quindi, per ora ha impatto zero sui conti pubblici italiani e dei partners europei.
Guardando avanti, tuttavia, questo non significa che l’Italia non sia esposta in alcun modo alle ipotesi di ristrutturazione del debito greco, con ulteriore allungamento delle scadenze o concessione di nuovi periodi di grazia.
E non vuol dire che l’Italia non incorrerebbe in alcuna perdita nel caso di haircut, taglio netto di una percentuale dello stock del debito di Atene. Estendere le scadenze, differire nel tempo il pagamento di interessi o il rimborso di capitale è un’agevolazione che il creditore concede al debitore e ha un costo, perché rende il prestito meno conveniente in termini di rendimento e quindi ne diminuisce il cosiddetto “valore attuale netto”, il valore rispetto ai tassi di mercato.
Il taglio del debito, l’haircut, ha invece un impatto immediato sul creditore che si assume all’istante una perdita sul capitale investito perché non gli verrà rimborsato: ma quello che propone l’Fmi, l’haircut. non è praticabile perché, come scandito ieri a chiare lettere dal portavoce dell’Efsf/Esm, «i capi di Stato e di governo hanno puntualizzato nel comunicato sulla Grecia che tagli sul valore nominale del debito, haircut, non saranno fatti».
L’urgenza del prestito-ponte è presto spiegata: la Grecia deve ripagare puntualmente e integralmente il 20 luglio 3,5 miliardi di titoli di Stato detenuti dalla Bce (2 miliardi) e dalla Banca centrale greca (1 miliardo) più interessi. Il bridge loan quindi evita il default, evento che farebbe crollare a catena il valore di tutti i titoli di Stato greci che sono il collaterale utilizzato dalle banche greche come garanzia per finanziarsi presso l’Eurosistema (la Bce e le banche centrali nazionali, dunque anche quella greca): le garanzie diventerebbero carta straccia e le banche greche sarebbero portate al collasso. Il prestito-ponte inoltre potrebbe aprire la strada a un aumento del tetto all’Ela che deve essere deciso dalla Bce; inoltre consente alla Grecia di rimborsare 2 miliardi di prestiti in mora presso il Fondo monetario, e questo a sua volta mette l’Fmi nella condizione di potersi sedere al tavolo dei creditori per il terzo programma di aiuti.
L’uscita di scena dell’Efsf e il subentro dell’Esm, come controparte creditrice della Grecia nel terzo programma di aiuti, è positivo per i conti pubblici italiani: il debito pubblico è aumentato in via permanente versando la quota italiana del capitale paid-in dell’Esm, pari a 14,33 miliardi, ma i prestiti concessi da questo fondo (a differenza dell’Efsf nei confronti dei suoi Stati garanti) non vengono ripartiti nel debito pubblico degli Stati azionisti. L’Esm ha già aiutato Spagna e Cipro ma senza impatto sui conti pubblici italiani. L’Efsf ha emesso bond per aiutare Irlanda, Portogallo e Grecia e il debito pubblico italiano è salito di conseguenza di 36 miliardi circa.
L’allungamento ulteriore delle scadenze e dei periodi di grazia sul debito pregresso della Grecia con i creditori “official” o addirittura un haircut, che vedrebbe l’Italia coinvolta con un prestito bilaterale alla Grecia per 10,2 miliardi e come garante degli Efsf-bond per 25,7 miliardi, può avere sì un impatto sui conti pubblici: ancor di più nel caso di taglio netto e riduzione del debito greco.
La dilazione del pagamento degli interessi o del capitale e periodi di grazia durante i quali il debitore non paga nulla, hanno un impatto sul creditore perché abbattono oppure annullano il rendimento generato dal prestito: quindi il finanziamento di per sè diventa un costo per il creditore (che, nel caso dell’Italia, a sua volta si è dovuto finanziare emettendo BTp e pagando interessi più alti sul suo debito).
La Grecia ha già ottenuto un’estensione di 15 anni della durata dei finanziamenti dell’Efsf e dei prestiti bilaterali: ora la vita media dei prestiti alla Grecia è già molto lunga, intorno ai 30 anni, il primo pagamento all’Efsf cade nel 2023, l’ultimo nel 2054. Il Fondo monetario suggerisce un ulteriore allungamento per una sostenibilità up-front: se la Grecia dovesse rimborsare i suoi prestiti entro i prossimi 60 anni, ebbene per i suoi creditori (tra i quali l’Italia) il finanziamento diventerebbe un costo perché non avrà il rendimento atteso (ma non una perdita facciale perché verrà rimborsato integralmente a 100). Se questo fosse concordato per la Grecia, c’è da attendersi che almeno Portogallo e Irlanda chiedano lo stesso beneficio sui loro prestiti Efsf.
Il fardello dei rimborsi dei prestiti è stato alleggerito di molto alla Grecia già nel 2012 con la concessione di un periodo di grazia di 10 anni, dal 2012 al 2022, da parte di Efsf e sui prestiti bilaterali concessi dai 15 partners dell’Unione monetaria: in questo arco temporale, la Grecia non paga interessi e non rimborsa la quota capitale del piano di ammortamento. Quindi, è come se non l’avesse, quel debito. L’Fmi e la Bce tuttavia non hanno fatto alcuna concessione: il peso del servizio del debito pubblico greco nei prossimi tre anni è quasi del tutto dovuto ai pagamenti da fare nei prossimi tre anni per rimborsare l’Fmi e pagare i titoli di Stato acquistati dalla Bce con il Securities Markets Programme. I pagamenti dovuti a Fmi e Bce e alla Banca centrale greca sono pesanti per le casse vuote della Grecia. Si fa un gran parlare delle due scadenze del 20 luglio e 20 agosto della Bce. Ma già a settembre la Grecia deve pagare al Fondo monetario altri 1,5 miliardi. E ha già in sospeso 2 miliardi, accumulati ora, tra giugno e luglio.
Il Fondo monetario sta rilanciando l’idea dell’haircut, che gli Stati creditori europei non intendono perseguire: se così fosse, i primi a pagarne le conseguenze e ad accollarsi la perdita sarebbero proprio gli Stati creditori dell’Eurozona perché l’Efsf è un creditore pari passu (al livello di investitore privato) mentre l’Fmi è creditore privilegiato.